Coronavirus, a Bergamo accade “qualcosa di enorme”: la denuncia di Giuseppe Remuzzi
"Mi sento come un soldato che perde i suoi compagni". È la testimonianza dell'ex direttore del dipartimento di Medicina dell'ospedale Papa Giovanni XIII di Bergamo, Giuseppe Remuzzi, ora direttore dell'Istituto di ricerche farmacologiche "Mario Negri". Con l'ospedale bergamasco continua a collaborare anche in questi giorni di emergenza coronavirus. In un'intervista al Corriere della Sera ha spiegato cosa sta succedendo a Bergamo, la provincia che ha il numero più alto di contagiati in Italia, 2145 secondo l'ultimo bilancio.
"Un mio amico dottore ricoverato in pneumologia in situazione critica, altri due intubati. Quando vedi queste cose, con le persone che sono cresciute con te in questi anni, che cadono mentre il nemico avanza, ti viene da piangere, non ce la fai", ha raccontato Remuzzi al quotidiano. "Mentre parliamo vedo le ambulanze che continuano a passare, e su ogni ambulanza c’è un essere umano che non respira".
Remuzzi (Istituto Mario Negri): A Bergamo accade qualcosa di enorme
A Bergamo sta accadendo "qualcosa di enorme", ha denunciato. In due settimane il bilancio nella zona è passato da due a 58 morti. "E le polmoniti di questa settimana sono più gravi di quelle della settimana scorsa". Al pronto soccorso ormai arrivano quasi solo pazienti in condizioni serie: "La gente è terrorizzata di andare in ospedale. Resta a casa finché ce la fa, con tachipirina e antibiotico. Il 113 ci porta solo quei malati che proprio non ce la fanno a respirare".
In provincia oltre 2100 casi positivi, picco a Nembro e Alzano Lombardo
La provincia di Bergamo è la più colpita in Italia. L'ultimo bilancio è di 2.136 pazienti positivi e decine di vittime, con focolai nella zona di Albino (80) e Zogno (70), ma soprattutto a Nembro (138 casi) e Alzano Lombardo (87), . In questi ultimi due comuni, i decessi sono molti e ci sono problemi anche nella gestione delle salme. "Già a dicembre i medici di base di Alzano si sono trovati di fronte a polmoniti mai viste. Ma hanno pensato che fosse una evoluzione del ceppo annuale dell’influenza", ha spiegato Remuzzi, "è difficile capire che sei di fronte a qualcosa di nuovo se non l’hai mai visto prima. Anche noi studiosi eravamo convinti che il virus non fosse così aggressivo".