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Ilva, quando l’idea di progresso non serve a niente

Il caso Ilva – e un breve documentario dell’epoca promosso dalla stessa Italsider – invitano a riflettere sull’uso strumentale che da sempre si è fatto dell’idea di progresso.
A cura di Danilo Massa
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Ma insomma, cos’è che vale di più? Tenere saldo quel che resta dell’apparato produttivo italiano in tempo di crisi o, invece, chiudere tutto, spostare quartieri, ammodernare strutture e, forse, salvare qualche vita? La domanda doveva porsi nel 1995, quando le prime sentenze di inquinamento atmosferico evidenziarono la pericolosa vicinanza dell’Ilva alla cittadinanza di Taranto. Ma la risposta non giunse e, come spesso accade in un paese in cui la sciatteria d’élite è la più efficace forma di violenza politica, ci si è mossi stando fermi.

All’inerzia non si attribuiscono particolari virtù perché, chi di questa forza si muove, non evita nemmeno il più prevedibile e visibile degli ostacoli. E così, tra crescita dello spread da un lato e scandalo Finmeccanica dall’altro, nel mezzo non poteva che esservi un ritorno all’attualità del caso Ilva, ovvero di ciò che sarebbe dovuto essere sempre attuale da 15 anni a questa parte. Tra magistratura e governo ai ferri corti non è difficile immaginare l’esito della decisione, specie perché, laddove manca una visione organica del mondo, l’interesse economico tende a prevalere su quello civile.

Quando l’allora Italsider promuoveva se stessa con il video in apertura, l’opposizione progresso/conservazione era sufficiente ad armare emotivamente la propaganda di stato contro le romanticherie bucoliche. Ma oggi il progresso, che altro non è che un’idea o un giudizio soggettivo, non serve a niente. Non serve a dare una risposta alla domanda che apre il presente articolo, non serve a stabilire priorità, né a consolare i presenti nell’immaginazione del futuro. Il progresso si rivela per quello che è sempre stato: un principio vago, un contenitore vuoto, un millenarismo orizzontale capace di affascinare gran parte di intellettuali e popoli, capace di far vergognare e zittire chi, quegli ulivi di cui parla il video, se li rimpiangeva. Ma incapace di dire se nell’immediato si debba difendere la salute dei tarantini, o la produzione di acciaio dell’Italia.

Anzi, peggio. Il progresso è stato un principio così vago e in voga, che è stato possibile declinarlo in un modo o nell’altro senza che all’osservatore distratto se ne mostrassero le pieghe. Per alcuni è sinonimo di accrescimento economico illimitato (il che sacrificherebbe la città di Taranto); per altri è affermazione abbondante, profluvio, di diritti (e quello alla salute farebbe tacere gli altiforni). Un tempo esistevano partiti politici che prediligevano una declinazione piuttosto di un’altra. Oggi ci sono partiti pigliatutto, che, in base alle stagioni e alle frontiere, cambiano anima. A dirla tutta, un tempo non era necessario nemmeno codificare un diritto per respirare aria pulita, perché tanto ce n’era in abbondanza.

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