Condannata per lancio della bici dai Murazzi, Sara Cherici: “Devo pagare il silenzio, ma non merito 16 anni”
"Non è giusto, non lo accetterò mai. Io non l'ho nemmeno toccata quella bici". Alla lettura della sentenza che la vede condannata a 16 anni di carcere per non aver fermato gli amici che hanno buttato giù la bicicletta ai Murazzi di Torino due anni fa, Sara Cherici ha avuto un mancamento. Adesso si trova agli arresti domiciliari con il braccialetto elettronico legato alla caviglia.
La giovane, oggi 20enne, ha rilasciato un'intervista al quotidiano La Repubblica alla presenza della madre, anche lei investita dal senso di colpa per i danni permanenti provocati dagli amici della giovane a Mauro Glorioso, studente rimasto in sedia a rotelle dopo essere stato colpito dalla bicicletta lanciata nel vuoto.
"Ho fallito – piange la madre della 20enne -. È colpa mia che non le ho insegnato a distinguere il bene dal male e le compagnie da frequentare. Nonostante questo, mia figlia non può pagare per qualcosa che non ha fatto. Vorrei esserci io su quella sedia a rotelle al posto di Mauro. Questa notte mia figlia non ha fatto altro che chiedermi scusa, ma scusa di cosa? Io ho sbagliato come genitore. Eravamo pronti a una condanna per il suo silenzio, ma non può pagare lei lo sbaglio di tre stupidi. hanno fatto un gesto ignobile e io ho pregato in tutte le chiese per Mauro Glorioso, affinché avesse la forza di vivere: aveva 23 anni e ora la vita gli è stata rovinata. Sara però non è cattiva: sono due anni che si dispera ogni giorno".
"Mi aspettavo 4 anni, 6, al massimo 7 – spiega invece la ragazza -. Sicuramente non 16. Mio fratello ha 16 anni, lo guardo e penso che la mia condanna è la sua intera esistenza. Non posso accettarlo. Mi hanno dato la condanna di una vita intera".
La sua è la pena più alta inflitta finora al gruppo di 5 ragazzi che due anni fa lanciarono la bici ai Murazzi. "Pensano che è come se lo avessi fatto io, ma non è così. Non ho neppure incitato l'azione. Non avrei neppure avuto la forza di sollevare quella bicicletta e mai l'avrei fatto. Avrebbe potuto esserci mia sorella che frequenta quel posto lì sotto. Le telecamere lo dimostrano e non ci sono le mie impronte. È vero, non ho denunciato ed è giusto che paghi per questo, ma non per quello che non ho fatto. Non mi sento colpevole per quel lancio. Datemi favoreggiamento e omissione di soccorso, è giusto che io paghi, ma non 16 anni".
"Non ho denunciato per paura delle conseguenze che avremmo potuto subire in casa. Perché? Perché anche adesso ci gridano di tutto, ci minacciano. Tra l'altro viviamo in un quartiere non facile, dove succedono cose brutte. Io ora pago più di tutti, anche più di chi ha lanciato la bici. In quei giorni io soffrivo tantissimo e per questo ho confessato tutto a mia sorella" racconta la 20enne. "Non ricordo cosa stavo facendo mentre i tre ragazzi gettavano la bicicletta, ho rimosso tutto. Stavo parlando con una mia amica di alcune discussioni che c'erano state tra noi ma non ricordo i dettagli".
Cherici ha ricordato il momento in cui i carabinieri si sono presentati a casa sua per arrestarla, ben prima dell'inizio del processo. "Ho pensato che era finita, che finalmente non dovevo più tenermi quel peso dentro. Ho pensato che era finita, ma che stava per iniziare qualcosa di nuovo". La giovane ha trascorso due mesi in carcere prima di tornare ai domiciliari nella sua casa. "Ero la più piccola, avevo 18 anni. Una bambina al carcere delle Vallette. Non mi alzavo dal letto, mi hanno imbottita di psicofarmaci. Ho anche cercato di farmi del male, pensavo di non uscire più".
Il pensiero di dover tornare dentro, spiega, la tormenta. "Ho l'ansia quando vedo i carabinieri. Anche quando sono entrati in aula 5 minuti prima della sentenza, ho pensato fossero già venuti a prendermi". Sara rivendica la scelta di non sottoporsi a rito abbreviato, spiegando di non averlo voluto perché certa della sua non colpevolezza. "Quello è il rito dei colpevoli, io sapevo che sarei stata condannata per alcune cose, perché è giusto che le paghi, ma non pensavo una cosa del genere. Così non è giusto".
Dopo il lancio di quella bicicletta, nella serata tra il 20 e il 21 gennaio 2023, Sara Cherici scappò con il gruppo. Vide tutto senza fare o dire nulla agli amici che invece lanciarono la bici dai Murazzi. Insieme scapparono per poi proseguire la serata come nulla fosse. Oggi si dice diversa, più consapevole di quanto fatto e di quanto non fatto.
"I sensi di colpa non mi daranno mai pace. Non è vero che è stata un'idea collettiva, non so perché la mia amica abbia detto certe cose. Noi eravamo dietro di loro, affiancate. Come potevamo immaginare? Lei ha anche dichiarato di essersi accorta che Mauro era stato colpito, cosa che non è possibile perché da dove eravamo non si vedeva nulla. Io e lei non abbiamo fatto niente e neppure oggi la denuncerei".
Sul pentimento, che secondo la corte non c'è stato, Cherici chiarisce: "Non è vero che non ci siamo pentiti, assolutamente. Non ho speso parole per Mauro al processo, è vero, ma gli ho scritto una lettera di tre pagine. Ci ho messo tre mesi per scriverla con l'aiuto di mia sorella e della psicologa. Non gli è mai arrivata, è stata messa agli atti ma non avrei voluto. L'avevo scritta per lui, per parlargli come se lo avessi davanti. È difficile che possa perdonarmi, lo so, ma ci spero".
La vicenda, spiega la ragazza, le ha dato un nuovo proposito per il futuro: vuole diventare educatrice e fare qualcosa di buono per gli altri. "Vorrei lavorare nell'ambito sociale, aiutare i ragazzi che vivono il disagio. Quello che mi è successo ha svoltato la mia vita, voglio che si trasformi in un'esperienza positiva. Non posso essere condannata a 16 anni: ho sbagliato ma non me li merito".