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Commessa dice parolacce in pausa pranzo davanti al direttore: licenziata

La donna aveva presentato ricorso ma la Cassazione ha confermato il licenziamento.
A cura di D. F.
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La Corte di Cassazione ha confermato il licenziamento per giusta di Marianna C., commessa di una nota catena di profumeria a Bologna, giudicata "colpevole" di aver utilizzato un linguaggio volgare durante la pausa pranzo con le colleghe, malgrado il richiamo – non poco infastidito – ricevuto dal direttore del negozio che molto probabilmente aveva notato un certo malumore da parte della clientela e delle stesse altre dipendenti.

Dopo il licenziamento la lavoratrice ha presentato il ricorso alla Suprema Corte e il suo avvocato ha sostenuto che era da escludere che nel comportamento della donna fosse ravvisabile "una scarsa inclinazione ad attuare gli obblighi assunti" e previsti dal contratto: insomma, la donna al massimo avrebbe meritato una punizione lieve perché lieve era stata la lesione del rapporto fiduciario. Secondo il suo legale, inoltre, non si può pretendere "che ai lavoratori dipendenti nei momenti della pausa di lavoro sia inibito un linguaggio adoperato normalmente da persone della stessa estrazione sociale, della stessa cultura e accomunate dalla familiarità che subentra in conseguenza di un lavoro quotidiano in uno spazio ristretto nell'azienda in cui operano".

Secondo i supremi giudici, tuttavia, il ricorso presentato dalla lavoratrice è inammissibile: la donna è stata condannata anche a pagare 3.100 euro di spese giudiziarie. Conferma del licenziamento era stata espressa in primo grado e dalla Corte di Appello di Bologna nel 2014. Il licenziamento risale dicembre del 2008.

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