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Come si protegge Papa Francesco: così lavorano gli uomini della sua scorta

Un ex commissario di Polizia, responsabile tra la fine degli anni Novanta e i primi del Duemila della protezione di Giovanni Paolo II, racconta quali rischi corre concretamente Papa Francesco nei suoi bagni di folla: il pericolo di un attentato è minimo, ma la sua scorta deve proteggerlo costantemente dagli eccessi di entusiasmo.
A cura di Davide Falcioni
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La scena è ormai nota a tutti. E’ la sera del 31 dicembre e Papa Francesco sta attraversando piazza San Pietro per visitare il grande presepe donato dalla regione Trentino. Bergoglio cammina in mezzo a una folla festante di fedeli assiepati oltre le transenne: ci sono i flash degli smartphone, i saluti, le richieste di benedizione; qualcuno allunga le mani nel tentativo di sfiorarlo ma una donna esagera e va oltre: mentre il Papa si allontana, lei lo afferra per un braccio e lo strattona tirandolo a se e innescando nel pontefice una reazione indispettita, un paio di colpetti sulla mano della petulante fedele. “Anche io perdo la pazienza, chiedo scusa per il cattivo esempio di ieri”, commenterà Francesco quasi 24 ore dopo il singolare episodio.

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Il gesto del Papa non è ovviamente passato inosservato. In molti l’hanno criticato o ironizzato (come Salvini), altri l’hanno giustificato. Qualcuno ha contestato l’efficienza della sua scorta e si è chiesto se quella donna avrebbe potuto rappresentare un pericolo reale per il Santo Padre. Ne abbiamo parlato con un ex commissario di polizia che tra la fine degli anni Novanta e i primi del Duemila è stato uno dei responsabili operativi della protezione di Giovanni Paolo II vittima lo ricordiamo, il 13 maggio 1981, di un attentato da parte del terrorista turco Mehmet Ali Ağca, che gli sparò due colpi di pistola in piazza San Pietro prima del'udienza generale.

Come valuta, da professionista, l’episodio capitato a Papa Francesco?

Leggo molte critiche al Papa per un gesto che è stato umanissimo e normale. Io penso che quella donna abbia ecceduto nell’entusiasmo, che il suo sia stato un gesto egoista nei confronti di un uomo che, va ricordato, è comunque un anziano oltre che un leader politico e spirituale.

In cosa consiste il lavoro di chi protegge il Papa?

Gli uomini della scorta hanno soprattutto il compito di proteggerlo dagli eccessi di entusiasmo, sempre possibili nei confronti di un uomo che – piaccia o no – ha interpretato il suo mandato in modo popolare, e che per questo ama fondersi in mezzo ai fedeli. Papa Francesco è molto vivace, si muove diversamente dai suoi predecessori, adora stare in mezzo alla gente. Quello della donna è stato un piccolo gesto da “ultras”, ma niente di più. Tutte le persone che accedono a piazza San Pietro o nella basilica vengono perquisite; nessuno può portare armi o altri oggetti pericolosi, ma non possiamo perquisire i cervelli di migliaia di fedeli né sapere se tenteranno di avvicinarsi eccessivamente al Papa. Per questo gli uomini che scortano un pontefice devono soprattutto essere attenti e molto concentrati per intervenire tempestivamente quando necessario.

Che caratteristiche hanno gli uomini che proteggono il Papa?

Si tratta di professionisti addestrati specificamente a proteggere personalità. Non occorre essere dei palestrati, ma si deve essere in grado di immobilizzare una persona se necessario. Per questo, però, occorre molta concentrazione, capacità di non farti distrarre dalla folla o dalle telecamere, non bisogna mai perdere di vista il Papa. Non occorre intervenire in modo eclatante. Moderazione, metodo, invisibilità sono le caratteristiche più importanti.

Come si organizza la protezione del Papa? Quali soggetti entrano in campo, come sono addestrati, come sono equipaggiati?

Si tratta di un lavoro complesso riorganizzato a partire dal 1985 dal prefetto Enrico Marinelli. Prima di allora il livello di protezione al Papa non era adeguato ed era ben lontano dagli standard di oggi, tant’è vero che Ali Ağca riuscì ad arrivare a Piazza San Pietro armato ed indisturbato. Dopo l’attentato si fissarono degli standard di protezione molto elevati, a partir dal controllo di tutti quelli che accedono a piazza San Pietro o nella Basilica: la scorta del Papa all’interno delle mura vaticane è affidata alle Guardie Svizzere, ma quando il Pontefice si sposta in territorio italiano la responsabilità passa all’ispettorato generale di pubblica sicurezza. Il criterio di massima, comunque, è che si “trasla” San Pietro ovunque: nessuno può avvicinarsi al Papa armato, tutti vengono controllati con i metal detector, i soggetti sospetti vengono tenuti alla larga. Il livello di efficienza è massimo: non a caso, pur essendo uno degli uomini più potenti del mondo, non non ci sono stati dopo il 1981 attentati al Papa.

Nei suoi anni in servizio ha dovuto fronteggiare minacce concrete a Giovanni Paolo II?

Raramente è accaduto proprio perché la scorta di prossimità è solo l’ultimo livello di una protezione molto più complessa, che inizia da molto più lontano. Per fortuna non ci sono mai stati veri e propri allarmi, anche perché se le minacce si fossero concretizzate ora probabilmente racconteremmo un’altra storia e io stesso non sarei qui a raccontargliela. Il nostro compito era soprattutto quello di proteggere Karol Wojtyła dagli eccessi di entusiasmo. Ricordo ad esempio che alla Giornata Mondiale della Gioventù del 2000 a Tor Vergata i ragazzi idearono delle “rampe” umane per lanciarsi, letteralmente, contro la Papa Mobile. Alla fine di una passeggiata lunga tre ore eravamo esausti, fisicamente stremati, avevamo dovuto placcare come rugbisti centinaia di esagitati.

In un altro caso, dopo un attentato in Spagna, vennero diffuse le foto segnaletiche di un presunto terrorista. In via della Conciliazione ricevemmo una segnalazione che ci fece gelare il sangue: c’erano tre uomini vestiti da preti che in una strada laterale armeggiavano con delle valigette piene di cavi. Corremmo, con l’adrenalina a mille e temendo che si trattasse di kamikaze. Eravamo pronti a intervenire, con tutte le difficoltà del caso. Immaginavo già che, una volta accertati della minaccia concreta, l’unico modo per evitare una strage sarebbe stato sparare in testa ai terroristi prima che potessero farsi saltare in aria. In realtà scoprimmo che si trattava di tre giovanissimi frati che nelle loro valige avevano registratori e telecamere: volevano solo girare dei filmati di ricordo della giornata. Uno di loro, però, era praticamente identico al terrorista spagnolo di cui era stata diffusa la foto segnaletica.

Insomma, chi protegge un personaggio come il Papa deve sempre intervenire con la massima prontezza.

Sì, chi interviene deve sempre farlo come se la minaccia fosse reale. Per fortuna il livello di preparazione di chi è chiamato a proteggere il Papa è altissimo e le possibilità che qualcuno possa commettere un attentato sono molto, molto scarse.

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