“Questa è l'estate più calda della mia vita”, dice Bart Simpson. “Questa è l'estate più fresca del resto della tua vita”, risponde Homer. Questo meme racconta alla perfezione quello che abbiamo imparato nell'estate del 2022 tra ondate di calore e siccità: la crisi climatica è il nostro presente e, inevitabilmente, il nostro futuro. Con drammatico ritardo la nostra società ha preso consapevolezza di quello che abbiamo di fronte, anche se i fenomeni di rifiuto o i meccanismi di autodifesa di fronte a un futuro così incerto sono ancora forti.
L‘estate del 2023 è invece l'estate in cui abbiamo scoperto che piuttosto che di meteo o di previsioni del tempo, con fenomeni estremi che si susseguono, è necessario parlare di clima. In questi mesi è sempre più apparso evidente che la crisi climatica non è un argomento tra gli altri dell'agenda del dibattito pubblico, ma il prisma tramite cui ordinare e leggere tutti gli altri.
Possiamo discutere davvero di tutela e di valorizzazione del Made in Italy, senza mettere all'ordine del giorno che il cambiamento climatico trasformerà in modo irreversibile la nostra economia agricola e il nostro patrimonio immateriale? Quel che è certo è che se non interveniamo a ridurre le emissioni per il cambiamento climatico sarà così radicale che il Bel Paese sarà irriconoscibile, con i suoi prodotti doc, dop, docg che scompariranno.
È altrettanto vero che dibattere della questione sociale, delle scelte industriali ed economiche senza mettere all'ordine del giorno la transizione ecologica e i suoi effetti è miope tanto quanto pensare che produrremo per sempre arance in Sicilia o olio di oliva in Umbria. Affrontare i flussi migratori senza pensare agli effetti della desertificazione poi non ne parliamo.
Se tutta la politica dunque è politica climatica, è ovvio che la battaglia sulla riconversione ecologica e sul riconoscimento stesso della crisi e delle sue dimensioni, è finito al centro dello scontro tra destra e sinistra. E lo sarà sempre di più.
In questi mesi abbiamo viaggiato per l'Italia raccontando gli effetti della crisi climatica nelle città e nei distretti produttivi delle eccellenze agricole. Abbiamo provato a capire cosa accadrà nel prossimo futuro accompagnati da ricercatori, scienziati e divulgatori come Luca Mercalli e Fabio Deotto.
Ci siamo confrontati con chi ha subito sulla sua pelle gli effetti degli eventi meteorologici estremi. Da una Milano intrappolata nelle isole di calore e funestata dai nubifragi abbiamo ricercato refrigerio in alta Val di Susa; dalle Langhe dove i viticoltori studiano gli effetti del riscaldamento globale sulle loro colline abbiamo viaggiato fino alla laguna di Venezia; dalla Sicilia degli incendi siamo tornati nei luoghi e nelle comunità colpite dall'alluvione dello scorso maggio.
Seguendo due principi semplici: raccontare dando voce alle persone, e informare in modo corretto spiegando in modo chiaro fenomeni complessi. Così abbiamo raccontato l'estate del 2023. E mentre lo facevamo ci è toccato anche ascoltare il ministro dell'Ambiente dire candidamente che “non è sicuro” che il riscaldamento globale sia davvero di origine antropogenica (nonostante gli impegni presi dall'Italia in sede internazionale e nonostante il 99,99% della comunità scientifica non abbia dubbi in merito).
Raccontare la crisi climatica non è facile, ed è una sfida anche per i media e noi giornalisti. Delle indicazioni utili ci arrivano dall'esperienza della pandemia di Covid-19, da cui abbiamo da trarre alcuni insegnamenti di cui fare tesoro.
Prima di tutto: il negazionismo climatico non è una posizione tra le altre da presentare in un dibattito di idee, piuttosto la discussione e il confronto dovrebbe essere sul come affrontare la crisi. Poi: la traduzione di argomenti complessi in maniera comprensibile a un pubblico più largo possibile è un compito fondamentale dell'informazione, che vuol dire per i giornalisti acquisire nuovi strumenti e nuove conoscenze, ma anche sperimentare nuove forme di narrazione. Gli esperti, gli scienziati, i ricercatori sono una voce e una risorsa indispensabile, ma non sono infallibili: per questo i giornalisti devono imparare a fare le domande e capire le risposte. E infine: il sensazionalismo non serve a raccontare la crisi climatica, cedere alla disperazione o incentivare solo sentimenti negativi neanche, la situazione è già abbastanza difficile così. Serve piuttosto la continuità nel seguire fatti, processi, politiche dal livello locale a quello globale, fornire strumenti ai cittadini e incalzare le istituzioni e la politica sugli impegni presi.
A fare tutto questo ci abbiamo provato con questo viaggio. Continueremo a farlo nei prossimi mesi e anni, interrogandoci su come migliorare, studiando e andando a vedere per capire. Seguiteci.