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Come la destra sta usando la legge 194 per limitare il diritto all’aborto

La 194 è una legge le cui falle e punti deboli consentono alla destra di ostacolare il diritto all’aborto. Non c’è bisogno di cancellarla: e la premier Giorgia Meloni questo lo sa benissimo.
A cura di Natascia Grbic
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"Allora si dicano le cose come stanno: si vuole modificare la legge 194? Non sono io a volerlo fare. Lo vogliono fare gli altri? Lo dicano e se ne assumano la responsabilità. Quello che si sta facendo adesso è ribadire quanto scritto nella legge 194, ossia garantire una scelta libera. E per farlo si devono avere tutte le informazioni del caso ed è quello che la 194 prevede". Questa frase la presidente del Consiglio Giorgia Meloni l'ha pronunciata in un punto stampa al termine dei lavori del Consiglio europeo straordinario che si è tenuto a Bruxelles lo scorso 18 aprile. Si riferiva alla polemica scaturita dopo l'approvazione dell'emendamento al Pnrr con cui il Senato ha approvato l'ingresso dei provita nei consultori. "L'emendamento al decreto Pnrr ricalca esattamente il testo della legge 194 – ha sottolineato la premier – la legge 194 lo prevede. Sa cosa penso io? Che in realtà quelli che vogliono modificare la legge 194 siano a sinistra. Perché noi non abbiamo mai chiesto di modificarla, ma quando chiedi la piena applicazione della legge 194, ci si straccia le vesti".

Le dichiarazioni della premier con cui abbiamo scelto di aprire l'articolo non sono state casuali. Meloni parla di garantire la "libera scelta, e libera scelta è essere informati di tutto". Ma di quale libera scelta parla la presidente del Consiglio? Quella successiva alla costrizione da parte dei medici di far ascoltare i battiti dell'embrione? E a quale informazione si riferisce, quella antiscientifica dei provita, cui sono state aperte le porte dei consultori?

In Italia l'interruzione di gravidanza è garantita dalla legge 194. Promulgata nel 1978 dopo anni di lotte femministe, ha segnato un importante spartiacque nella storia del nostro Paese. Le donne hanno sempre abortito, ma prima di quella data non potevano farlo in modo sicuro. Dal 1978 a oggi gli aborti sono diminuiti: sono aumentati i metodi contraccettivi, una seppur minima educazione sessuale è stata raggiunta, ed evitare gravidanze indesiderate è diventato più facile. Ciò che non è cambiato è però lo stigma nei confronti delle donne che scelgono di abortire, e i tentativi da parte della politica di avere controllo sulla salute e sui diritti riproduttivi delle persone.

La 194 è una legge che finora ha garantito l'accesso all'aborto per le donne. Ma è anche una legge piena di falle e di punti deboli. È vero quello che dice Giorgia Meloni: il Governo non vuole cancellare la 194. Basta infatti applicarla alla lettera per rendere l'interruzione di gravidanza un percorso a ostacoli.

All'art.2 la 194 prevede per i consultori la ‘collaborazione volontaria di idonee formazioni sociali di base e di associazioni del volontariato'. Un articolo non molto diverso dal 44-quinquies (Norme in materia di servizi consultoriali), che stabilisce il "coinvolgimento di soggetti del Terzo settore che abbiano una qualificata esperienza nel sostegno alla maternità". In altre parole, l'ingresso dei provita nei consultori è stato sì sdoganato dal Governo, ma è sempre stato possibile. Tanto che in alcune strutture sono già presenti da tempo. Ma non solo: la legge 194 prevede che si possa abortire solo per alcuni motivi specifici: il "serio pericolo per la salute fisica o psichica" della donna, particolari condizioni economiche, sociali e familiari, o circostanze in cui sia avvenuto il concepimento, oltre a malformazioni del feto. Negli anni la legge è stata interpretata in modo estensivo, e il diritto all'aborto è stato bene o male garantito. Chiedere di applicarla alla lettera diviene semplicemente un modo per ostacolare il funzionamento della legge per come la conosciamo, renderlo più farraginoso e ridurre così il diritto nella sua dimensione effettiva.

Ci sono poi i sette giorni in cui la donna è "invitata a soprassedere". Dal giorno del colloquio dell'Ivg al rilascio del certificato devono quindi passare sette giorni: sette giorni in cui una donna è costretta a portare avanti una gravidanza non voluta, un periodo di riflessione forzato che non fa che acuire lo stress di una situazione che la maggior parte delle donne vuole risolvere il prima possibile. Per non parlare dell'articolo 9, che disciplina l'obiezione di coscienza. In Italia questa ha raggiunto percentuali altissime, tanto che in alcuni casi si parla proprio di ‘obiezione di struttura'. A causa dell'elevata presenza di personale obiettore, spesso in alcune regioni l'aborto non è garantito, con donne costrette a fare centinaia di chilometri per vedersi riconoscere quello che dovrebbe essere un loro diritto.

È per evitare applicazioni strumentali che si parla di superamento della legge 194. "Molto più di 194" è uno slogan che viene lanciato non a caso dai movimenti transfemministi, che da tempo chiedono una revisione della legge. Abolizione del periodo dei sette giorni di riflessione, Ivg farmacologica fino a dodici settimane, abolizione dell'obiezione di coscienza, aborto libero, sicuro e gratuito per tutte, senza distinzioni. Se questi punti non saranno garantiti, non lo sarà nemmeno il diritto all'aborto. Che continuerà a essere ostacolato da parte del Governo, nel pieno rispetto della legge 194.

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Giornalista dal 2013, redattrice alla cronaca di Roma di Fanpage dal 2019. Ho lavorato come freelance e copywriter per diversi anni, collaborando con vari siti, agenzie di comunicazione e riviste. Laureata in Scienze politiche all'Università la Sapienza, ho frequentato nel 2014 la Scuola di giornalismo della Fondazione Lelio Basso.
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