Ultrastorie

Come il massacro di Port Arthur del 1996 ha portato a una stretta sulle armi in Australia

Il nono episodio del vodcast ULTRASTORIE racconta della sparatoria del 28 aprile 1996 a Port Arthur, nello stato australiano della Tasmania, dove il giovane Martin Bryant aprì il fuoco uccidendo 35 persone, comprese famiglie con bambini. Il massacro portò l’Australia a una rigida stretta sulle armi da fuoco.
A cura di Olimpia Peroni
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Il 13 marzo del 1996. Nella piccola cittadina di Dunblane, in Scozia, dei poliziotti armati fanno irruzione nella palestra della Primary School, la scuola elementare. La scena che si trovano davanti è terribile, c’è sangue ovunque. Alcuni bambini strillano di paura, altri di dolore, altri piangono in silenzio – e altri, invece, se ne stanno fermi, immobili, sdraiati per terra. Tra tutti quei piccoli corpicini senza vita ci sono due adulti. Una donna, che si capirà subito essere l’insegnante della classe, Gwen Mayor e un uomo, un 43enne, Thomas Hamilton, nonché l’artefice del massacro. Prima della sparatoria, Thomas si è arrampicato sul palo del telegrafo della scuola per tagliare i cavi, il tutto per ritardare il più possibile le telefonate di aiuto alla polizia. Poi è entrato nella palestra con le sue quattro pistole, ha sparato subito all’insegnante, Gwen Mayor, uccidendola all’istante, e poi ha cominciato a sparare agli alunni della classe:  tutti dai 5 ai 6 anni. In totale ne uccide 16 e ne ferisce 15. Successivamente esce dalla palestra e spara sulle vetrate, arrivando a colpire la biblioteca e un’altra classe. Poi, di nuovo, rientra nella palestra, si mette la pistola in bocca e preme il grilletto. Tutto accade in 5 minuti.

Il giorno dopo, il 14 marzo, il Daily Mirror pubblicherà un’edizione speciale con in prima pagina la foto di Thomas. Attorno a lui, a mo’ di cornice, ci sono le foto dei 28 bambini e dell’insegnante. Al centro, il titolo grande, dice: “He shot them all”, “Ha sparato a tutti loro”.

Si apre un dibattito sul perché di un gesto così terribile. Lui, quel giorno, si è suicidato, quindi non si saprà mai con certezza. Ma una delle teorie più sostenute dai media e dall’opinione pubblica è che, anni prima, le persone avessero cominciato ad additarlo come un pervertito, un pedofilo – cosa che gli avrebbe rovinato la vita, ad esempio, allontanandolo dal gruppo scout di cui era capo.  Il The Guardian  scrive: “Molte delle persone che hanno incontrato Hamilton lo hanno rappresentato come un uomo che era ossessionato dai ragazzini e infastidito dal rifiuto”. Mentre quattro giorni dopo il massacro, il 17 marzo, il The Independent, inizia l’articolo su Thomas così: “Una volta morto, tutti sapevano come riassumere Thomas Hamilton. Era un pazzo solitario (…); un disadattato ossessivo che represse il suo sentimento paranoico finché non fu pronto a incidersi nella coscienza nazionale con il sangue di altre persone”. E aggiunge l’uomo veniva chiamato da chi lo conosceva “Mr. Creepy”, cioè “Mr. Inquietante”. A prescindere da cosa lo abbia spinto, quella che ha fatto Thomas è la sparatoria di massa più mortale nella storia britannica.

Thomas è entrato in una scuola elementare con il solo obiettivo di uccidere bambini: chi mai potrebbe provare un sentimento diverso dall’odio, dalla rabbia o dall’inquietudine? Un uomo, però, c'è. Ѐ Martin John Bryant. Un uomo che, mentre sto parlando, sta scontando 35 ergastoli nella prigione di Risdon. Quello che ha fatto Martin Bryant è orribile, abominevole, tremendo e ve ne parlerò in questa Ultrastoria. Ora voglio solo dirvi che c’è un filo che legherebbe Martin Bryant a Thomas Hamilton. Secondo Paul Mullen, lo psichiatra capo della difesa di Martin, Martin si sarebbe “ispirato” a Thomas. A proposito di questo Mullen spiegherà: "Prima pensava al suicidio, ma (la sparatoria di) Dunblane e il ritratto dell'assassino, Thomas Hamilton, hanno cambiato tutto”.

Secondo Mullen, la sparatoria che ha fatto Thomas in Scozia è stata ciò che ha spinto, sei settimane dopo, in Tasmania, Martin Bryant, a imbracciare i suoi fucili e pistole in quello che è uno dei più sanguinosi massacri compiuti a colpi d’arma da fuoco da parte di una singola persona. Un massacro che ha segnato l’Australia, cambiando per sempre l’idea che si aveva delle armi.

Martin Bryant
Martin Bryant

I primi anni di vita dell'attentatore Martin

Martin Bryant nasce il 7 maggio del 1967 ad Hobart, la capitale della Tasmania, in Australia. Il travaglio dura appena due ore e lui non pesa nemmeno 3 kg – ma non solo il parto, in generale la gravidanza è stata serena.  Sua madre, Carleen, non aveva sofferto né nausea né gonfiori, né particolari dolori – e suo marito, Maurice, le è sempre stato devotamente accanto. Anche durante il parto, cosa che i mariti negli anni '60, in linea di massima, non erano soliti fare.

Purtroppo, però, la serenità che ha accompagnato Carleen e Maurice durante la gravidanza e il parto non rimarrà anche durante gli anni della crescita di Martin. A ricostruire nel dettaglio la vita del giovane ci ha pensato il The Sydney Morning Herald.

Fin dai primi anni di vita Martin rivela una natura iperattiva e spesso ingestibile. Scappa di casa, si allontana da solo ogni volta che può. Ama vagabondare in giro, ha questa inesauribile energia che mette alla prova chiunque gli stia intorno – tanto che sua madre inizia a legarlo alla veranda, con un’imbracatura e un guinzaglio, lasciandolo circondato da giocattoli. Su questa cosa, la mamma dirà: “Qualcuno si è lamentato perché lo legavamo come un cane. Ma ovviamente, come madre, sapevo che era felice e al sicuro". Martin ha qualcosa che lo differenzia dagli altri bambini. Ѐ anaffettivo, lo sviluppo del linguaggio è lento, le capacità motorie sono limitate – come se avesse smesso di maturare. Quando comincia a frequentare la scuola primaria, con insegnanti, nuovi bambini con cui stringere amicizia, tutti questi problemi, anziché attenuarsi, lo isolano dagli altri. Però lui ci prova a fare amicizia, a modo suo. Martin fa questi giochi un po’ infantili, dell’avvicinarsi di soppiatto agli altri bambini e saltare loro addosso mentre tornano a casa. Un modo per fare amicizia o per essere accettato che, però, ha l’effetto contrario. Martin viene visto dagli altri come fastidioso e irritante, a tratti inquietante, tanto che gli attribuiscono il soprannome “The Shadow”, “L’Ombra”.

La prima valutazione psichiatrica di Martin

Durante le superiori non mostra alcun segno di miglioramento, non impara nemmeno a leggere e a scrivere e, a sedici anni appena compiuti, nel 1983, lascia definitivamente la scuola.

Durante tutti questi difficili anni i suoi genitori, Carleen e Maurice gli stanno sempre a fianco. Si preoccupano per lui, provano a incoraggiarlo ad avere hobby che lo facciano uscire fuori di casa e che lo allontanino dalla televisione – davanti cui passa giornate intere. E per questo, a un certo punto, il padre gli regala un fucile ad aria compressa. Un regalo ritenuto innocuo che però rappresenta il suo primo approccio alle armi. Un anno dopo, nel febbraio del 1984, Carleen e Maurice richiedono una valutazione psichiatrica al dottor Eric Cunningham Dax, uno stimato psichiatra della Tasmania. La madre, Carleen, ricorda che, per tutto il tempo del colloquio, Martin non riusciva a concentrarsi su ciò che stava dicendo il dottor Dax – e che anzi, mentre lui parlava, il ragazzo lo interrompeva per dire cose che non c’entravano nulla, come parlare della casa o del camino nella stanza. Carleen ricorderà: “Dopo qualche altro consulto il dottor Dax disse che Martin sarebbe stato inoccupato perché avrebbe turbato e infastidito le persone al punto da mettersi nei guai. Avrebbe dovuto ricevere una pensione di invalidità". Non solo. Il The Sidney Morning Herald riporta che in alcune note il dottor Dax aveva scritto: “(…) Solo gli sforzi dei suoi genitori gli impediscono un ulteriore deterioramento. Potrebbe essere schizofrenico e i genitori hanno di fronte un futuro cupo con lui". Carleen e Maurice lo incoraggiano a imparare il giardinaggio sia per avere, appunto, un hobby, sia per rendersi utile al quartiere, fare un lavoretto e, nel frattempo, socializzare e stare fuori casa.

L'incontro di Martin con l'ereditiera Helen Harvey

Tre anni dopo, nel 1987, inizia a lavorare per Helen Harvey, una 54enne molto ricca che aveva ereditato una fortuna dal padre, un imprenditore di successo. Dopo la morte del padre Helen è andata a vivere con sua madre, Hilza, nell'imponente casa di famiglia. Le due vivono come recluse dentro le mura di questa grande e ricca dimora. Hanno decine di animali, tipo, 40 gatti che vivono nel garage e 14 cani che hanno il controllo delle stanze del piano di sotto, mentre Helen e Hilza vivono nel piano sopra.

Helen e Martin legano subito, lui inizia a prendersi cura del giardino di lei, ma presto il loro rapporto travalica il lavoro diventando una vera e propria amicizia. Molto più tardi, Martin descriverà Helen come “la sua unica vera amica” e, precisa “non era una relazione sessuale”. Non troppo tempo dopo aver legato, Helen chiede a Martin di andare a vivere da lei. Lui accetta ma, da quel momento, le cose iniziano a degenerare. Intanto, sicuramente, per la madre di lei, Hilza. Hilza viene praticamente segregata alla cucina del piano di sotto, dove sono gli animali, che giorno dopo giorno è sempre più sudicia. Non solo, è letteralmente abbandonata a se stessa, su una sedia. Addirittura dorme, su quella sedia, o almeno ci prova – infatti si contorce dalla mattina alla sera sperando di trovare sollievo da un’anca rotta che non le è mai stata diagnosticata né curata. Intanto, Helen e Martin vivono la loro vita, dimenticandosi di lei. Nel giugno del 1990 qualcuno fa una segnalazione alle autorità sanitarie: arrivano i medici che trovano Hilza in preda alle ulcere infette, circondata da sporcizia e animali. Viene trasferita in una casa di cura dove morirà un mese dopo. La maggior parte degli animali viene portata via e viene emesso un ordine di pulizia della casa. The Sidney Morning Herald riporta: “Ci vollero tre mesi per raschiare la sporcizia dai pavimenti, dalle pareti e dalle superfici di quasi ogni stanza. Una dozzina di cassonetti furono riempiti di spazzatura mentre l'intero guardaroba di Helen dovette essere buttato via. Fu come se la sua vita precedente fosse stata rimossa, consentendole di ricominciare in un ambiente incontaminato con un nuovo compagno di vita, Martin Bryant.”

La degenerazione del rapporto e la morte di Helen

Nonostante le condizioni di vita in cui vivono, i due sono ricchi. O, almeno, Helen è ricca. Con il tempo, però, mentre si godono la vita, Martin inizia a cambiare. Ha sbalzi d’umore sempre più frequenti, tendenzialmente è sempre cupo e nervoso – è lui a iniziare discussioni, litigi, diciamo che si infiamma subito per il nulla. E a un certo punto inizia anche a minacciarla.

Nel frattempo si trasferiscono, vanno a Copping, una cittadina a metà strada tra Hobart e Port Arthur – sempre in Tasmania. Ai vicini non piace affatto Martin, ne erano inquietati. Soprattutto per le sue abitudini, come: uscire di casa nel cuore della notte e vagare per le proprietà. Non lo si riesce a vedere ma la sua presenza si avverte perché i cani, fiutando l’intruso, abbaiano all’impazzata. E poi sentono il rumore degli spari del fucile ad aria compressa da cui Martin non si separa mai. Il ragazzo inizia anche a diventare un vero e proprio pericolo per Helen, soprattutto quando lei sta alla guida. Per due volte, come riporta il The Sydney Morning Herald, Martin si sarebbe sporto verso di Helen e le avrebbe strattonato il volante, facendola finire fuori strada. Fino a che il 20 ottobre del 1992, i due fanno un incidente in auto: la donna muore all’istante, il collo si spezza nell’impatto. Martin riferisce agli agenti che Helen sia stata distratta dai cani che litigavano sul sedile posteriore. Helen, prima di morire, aveva scritto nel testamento di voler lasciare tutto in eredità al ragazzo.

Il suicidio del padre Maurice Bryant

Quello di Helen non è l’unico lutto che Martin deve affrontare. Il giornale riporta che dopo la morte di Helen il padre di Martin, Maurice: “si era sentito così depresso che aveva fatto visita al medico di famiglia (…), lamentando un senso di ansia costante e di tristezza e depressione incombenti. Era la seconda volta in sei mesi che chiedeva aiuto (…)” e gli vengono prescritti degli antidepressivi.

Pochi giorni dopo, il 13 agosto, Maurice si toglie la vita, affogandosi. Nella sua tasca verranno trovati dei farmaci anti-ansia. A questo punto Martin ha perso due dei suoi principali punti di riferimento: suo padre e Helen, “la sua unica vera amica”. Certo, ha ancora sua madre, ma per il resto è completamente solo. Stella Sampson, la sua ex insegnante, avrebbe poi detto ai media: “La mia opinione personale è che suo padre lo tenesse sotto controllo e quando morì non ebbe più quell'influenza restrittiva".

E, in effetti, qualche anno prima dei due lutti, aveva ricevuto un’altra valutazione psichiatrica dal sistema di previdenza sociale. Ѐ una valutazione che, però, secondo il giornale, fu allegata al suo fascicolo e dimenticata. C’era scritto: "Il padre lo protegge da qualsiasi occasione che potrebbe turbarlo, dal momento che mentre minaccia continuamente di essere violento… Martin mi dice che gli piacerebbe andare in giro a sparare alla gente. Sarebbe pericoloso lasciare che Martin esca dal controllo dei suoi genitori". Il ragazzo, per quanto perso, è ricco. Ha ereditato sia i soldi di Helen che quelli di Maurice. Spende i soldi in vestiti eccentrici e viaggiando. Viaggia tantissimo: Bangkok, Londra, Svezia, Los Angeles, Singapore. E a questo proposito c’è una cosa abbastanza triste da raccontare. Martin ama viaggiare anche perché, durante il viaggio in aereo, può parlare con le persone. Paul Mullen, l’esperto già citato a inizio articolo, lo psichiatra capo della difesa di Martin, racconterà: "Il signor Bryant ha affermato che la parte migliore dei suoi viaggi internazionali era il lungo viaggio in aereo. (…) poteva parlare con le persone accanto a lui che, presumibilmente legate ai loro sedili, non avevano altra scelta che apparire almeno amichevoli”.

La passione per le armi e "il piano di vendetta"

Insieme ai vestiti e ai viaggi, Martin inizia a collezionare armi: fucili e pistole. Come racconterà poi alla polizia durante un interrogatorio, le ha comprate dal negozio di un tale Terry, che vendeva legalmente armi. Uno dei poliziotti gli chiederà: “Hai fatto finta di avere una licenza quando le hai comprate?”.

Più o meno in questo periodo, marzo, secondo lo psichiatra Paul Mullen, Martin sarebbe stato influenzato dal killer Thomas Hamilton – e che se inizialmente il ragazzo soffriva solo di tendenze suicide, una volta appreso della sparatoria in Scozia, quelle tendenze sarebbero diventate omicide. Anzi, secondo Mullen, il massacro a Dunblane ha rappresentato proprio un punto di innesco, per il ragazzo, che ha agito, infatti, appena sei settimane dopo. Ed effettivamente, intanto che acquista armi, Martin prepara un piano. Un piano che, sembrerebbe, almeno in apparenza, mosso da un sentimento di vendetta. Dopo la strage, Martin parlerà a lungo con lo psichiatra Paul Mullen, che a sua volta stilerà un report. Nel report, Mullen scrive che Martin gli ha confidato di questo “risentimento di lunga data” contro i coniugi Noelene, detta “Sally”, e David Martin che, per non fare confusione, chiamerò solo per nome, Noelene e David.

Secondo Martin, i coniugi sono il motivo del “cuore spezzato del padre nonché ciò che ha portato alla rovina della loro famiglia”. Ma perché? Chi sono questi Noelene e David?

Noelene e David e "il torto" fatto al padre di Martin

Maurice, il padre di Martin, voleva acquistare un bed and breakfast chiamato “Seascape”, che stava nei pressi di un sito storico molto turistico, Port Arthur. Ma proprio mentre stava preparando i soldi e organizzando il pagamento, il b&b venne acquistato da Noelene e David. E questa cosa avrebbe portato parecchio disappunto in Maurice. Nel report psichiatrico, Mullen scriverà che la moglie di Maurice, Carleene, lo avrebbe visto spesso lamentarsi con Martin di questa situazione, accusando Noelene e David di essere stati scorretti nei suoi confronti e che, anzi, avessero attuato un vero e proprio “doppio gioco”. Martin descrive i coniugi come delle “persone veramente cattive” e “le peggiori persone che abbia mai conosciuto”. E sarebbe per questo motivo, quindi, che il massacro inizia proprio nel b&b della coppia, il Seascape, quello che avrebbe voluto acquistare suo padre.

Il massacro di Port Arthur del 28 aprile 1996

28 aprile 1996. Martin si dirige con la sua auto al Seascape. Trascina con sé una sacca blu, una di quelle che si usano per andare in palestra. Dentro ha dei fucili e delle pistole. Appena entrato al Seascape, uccide brutalmente Noelene e David, a colpi di coltello e di arma da fuoco. I due coniugi sono le prime vittime della strage di Port Arthur. Le prime di 35. Dopo Martin va verso Port Arthur che, come al solito, quel giorno, è frequentato da turisti e gente locale. Parcheggia al Broad Arrow Café ed entra lì –  trascinando con sé il suo borsone. Ordina del cibo, lo mangia, chiacchiera con le persone che gli sono attorno. Poi, improvvisamente, apre il borsone e tira fuori il fucile, puntandolo verso i clienti del Café. Un 28enne, Jason Winter, vedendo che Martin sta puntando il fucile verso sua moglie e suo figlio di 15 mesi, per distrarlo gli lancia addosso un vassoio. Martin gli spara subito, uccidendolo – ma quei pochi secondi permettono alla moglie e al figlio di salvarsi. Carolyn Loughton, in quel momento, si trova al bar con suo marito e sua figlia di 15 anni, Sarah. Martin uccide il marito sparandogli alla faccia e Carolyn, per salvare Sarah, si lancia su di lei per farle da scudo. Martin spara alla schiena di Carolyn a una vicinanza tale che il timpano di lei si rompe per lo scoppio del proiettile. Nonostante però la madre le protegga tutto il corpo, la testa di Sarah resta scoperta – e Martin punta proprio a quella, uccidendola. Carolyn è l’unica della famiglia a sopravvivere. In un’intervista descriverà così quella situazione: “Nessuno gridava, nessuno correva. Non è come nei film, in una frazione di secondo le persone o sono morte o sono sdraiate a terra che fingono di essere morte”.

Quando Martin sta per spostarsi verso il negozio di souvenir, Robert Elliott, che si era nascosto per tutto quel tempo, pensando che il killer se ne fosse andato, si alza. Ma, in quel momento, Martin gli spara al braccio e alla testa – nonostante questo, sopravviverà.  Dal primo sparo a questo, passano in totale 15 secondi. In 15 secondi, solo nel Café, Martin uccide 12 persone e ne ferisce dieci.  Arriva al negozio di souvenir vicino e uccide subito le due commesse, Nicole e Elizabeth, di 17 e 26 anni, per poi passare ai clienti che si trovano lì. Nel frattempo continua a fare avanti e indietro con il Café, uccidendo chiunque si muova dal suo nascondiglio. A questo punto ha ucciso altre 8 persone.

Nel frattempo chi si trovava nel parcheggio, sentendo gli spari, aveva iniziato a chiamare i soccorsi e a fare dei video riprendendo l’esterno del Café. In uno di questi, si sente un ragazzo dire “C’è uno che è impazzito e ha iniziato a sparare”. Martin esce e passa al parcheggio, sparando alle persone che corrono e cercano di fuggire e nascondersi. Dopo, prende la sua auto e si dirige verso l’uscita. Per la strada incontra una donna, Nanette Mikac, che sta correndo via con le sue due figlie, Madeline e Alannah, di tre e sei anni. Lui rallenta e si accosta e lei, non immaginando che quello fosse il killer, si avvicina pensando fosse un uomo che voleva aiutarle a fuggire. Martin, però, esce dalla macchina. Fa inginocchiare Nanette e le spara alla testa – poi, spara alle due bambine.

Mentre si allontana da Port Arthur, spara anche a delle macchine che si trovano per la strada, uccidendo le persone dentro. Ruba una di queste auto, rinchiudendo un ragazzo dentro il bagagliaio, e guida di nuovo verso il b&b, il Seascape.

Si rinchiude là dentro e viene preso dagli agenti la mattina dopo, il 29 aprile, dopo essere uscito di corsa dal b&b per un incendio che stava distruggendo tutto, presumibilmente appiccato da lui.

In totale, quel 28 aprile, Martin ha ucciso 35 persone e ferite 23.

I 35 ergastoli e la convinzione di innocenza della madre

Inizialmente lui nega di essere stato a Port Arthur quel giorno, poi, alla fine, con una battuta, lo ammette. Ma, in generale, non riesce a essere serio durante tutto l’interrogatorio. Ride, fa, appunto, battute. Dice agli agenti “Se le persone non facessero queste cose orrende, voi ragazzi non avreste un lavoro”.

Il 22 novembre del 1996 viene condannato a 35 ergastoli, uno per ogni persona uccisa a Port Arthur. La sentenza viene emessa da un giudice che lo definisce un “patetico disadattato sociale”. Nonostante la sentenza, la dichiarazione di colpevolezza e i testimoni, la madre, Carleen, lo ha sempre reputato innocente. Dice che “non ci sono prove” lui fosse a Port Arthur quel giorno.

La stretta sulle armi dell'Australia

Meno di due settimane dopo la sparatoria il primo ministro australiano John Howard, che, era in carica da soli 57 giorni, ha annunciato delle nuove riforme sull’uso delle armi che, fino a quel momento, come sostiene anche il The Guardian, “erano considerate un elemento essenziale del mito nazionale”.

Prima di Port Arthur l’Australia basava parte della sua cultura sulle armi, come spiega anche Philip Alpers, professore presso l’Università di Sydney. Alpers afferma che “A quel punto la lobby delle armi era la lobby dominante in Australia”. Per moltissime persone una riforma che limitasse l’uso delle armi era impensabile. Il modo in cui Martin è uscito di casa ed è andato in un negozio a procurarsi le armi è emblematico per il grado di controllo che c’era in quegli anni in Australia, in particolare nella Tasmania: pari a zero. Come ha raccontato Martin agli agenti, lui è entrato dall’uomo che vendeva armi, gli ha detto di avere cash e ha acquistato fucili e pistole – senza che nessuno gli chiedesse la licenza – che non aveva.

Roland Browne, un sostenitore del controllo delle armi, spiega al The Guardian che “a quel tempo le leggi della Tasmania erano le più deboli, le più povere del paese (…). Sebbene Martin non avesse una licenza per armi, se ne avesse fatta richiesta, ne avrebbe senza dubbio ottenuta una". Prima di Port Arthur la maggior parte degli stati in Australia aveva un sistema di licenze debole e nessun obbligo di registrazione delle armi. Il primo ministro Howard propose che ogni stato e territorio introducesse e applicasse un sistema di licenze e registrazioni per le armi che richiedesse alle persone di avere una "ragione genuina" per possedere un'arma da fuoco, come il tiro sportivo o al bersaglio o la caccia ricreativa. Tra le “ragioni genuine” non sarebbe rientrata la protezione personale. Tutti gli stati avrebbero anche vietato le armi lunghe automatiche e semiautomatiche, cioè quelle che con una sola pressione sul grilletto, spara continuamente e automaticamente tutti i colpi disponibili – come la mitragliatrice o il fucile d’assalto. Howard introdusse anche un programma nazionale di riacquisto di tutte le armi non conformi, che finì per fondere più di 650.000 armi da fuoco per un costo di 350 milioni di dollari.

"Ci vorrà un massacro in Tasmania per ottenere riforme"

Nel 1987, Barry Unsworth, al tempo primo ministro del Nuovo Galles del Sud, uno stato australiano, si trovava in un summit nazionale sulle armi – in questo summit la Tasmania, lo stato dove anni dopo avverrà la sparatoria a Port Arthur, si era opposta alle riforme sulle armi proposte dopo due sparatorie di massa avvenute a Melbourne quell'anno. Barry Unsworth, andandosene dal summit amareggiato, disse: "Ci vorrà un massacro in Tasmania prima di ottenere una riforma sulle armi in Australia".

Puoi trovare questa puntata del vodcast “ULTRASTORIE” sulle principali piattaforme di streaming.

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