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Colpevoli di pacifismo: Cristian e gli altri tornino a casa

Da un mese gli attivisti Greenpeace, tra cui il napoletano Cristian D’Alessandro, per un’azione pacifica nei confronti di Gazprom nel mare Artico, sono nel carcere di Murmansk, Russia, tra detenuti comuni e senza acqua potabile. Non si tratta di conflitti tra diplomazie, ma di lesione dei diritti umani.
A cura di Daniela Scotto
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L'appello che l’amministratore delegato dell’Eni, Paolo Scaroni, aveva inviato ad Alexey Miller, Ceo della Gazprom, aveva provocato un barlume di speranza sulla vicenda di Cristian D’Alessandro, l’attivista Greenpeace napoletano ancora detenuto nel carcere di Murmansk insieme agli altri 27 del gruppo, per aver effettuato una dimostrazione pacifica sulla piattaforma di proprietà del colosso energetico nel mare Artico. Almeno parte delle “alte sfere”, di coloro che detengono le redini reali degli equilibri geopolitici, si stava finalmente interessando del caso. Definitiva e tranchant è giunta invece la risposta da parte del portavoce dell’a.d. Gazprom: se ne occupi il governo russo, non è affar nostro. Ormai è un mese che Cristian è detenuto in un carcere nell’estremo nord della Russia, in cui tutti gli imputati non riescono a mettersi in contatto l'un l'altro, nella piena applicazione del principio “divide et impera”, con scarse possibilità di sentire le proprie famiglie e senza acqua potabile, che il ragazzo si procura riscaldando quella corrente con un fornellino fornitogli da Greenpeace.

Nelle sue condizioni stanno anche i due reporter freelance e tutti gli attivisti, tra cui anche diverse ragazze, che immaginiamo ancor più allo stremo delle loro forze. L’interesse dei media è finalmente alto, undici premi Nobel della pace hanno firmato un appello, le firme per la petizione indetta dalla madre di Cristian aumentano di giorno in giorno, instancabilmente la famiglia è presente tra telegiornali ed interviste per tenere alta l’attenzione sul caso. Si sono mobilitati in maniera costante per chiedere aiuto, sottraendosi volontariamente al pericolo di inutili polemiche: il loro obiettivo è semplicemente riavere loro figlio. Ha fatto seguito al comunicato stampa emesso dalla Farnesina l'incontro di stamattina tra il ministro Bonino e la famiglia D'Alessandro, presso la stazione marittima di Napoli durante il convegno dei giovani imprenditori di Confindustria, incontro definito tranquillizzante, tanto che Raffaella Ruggiero, la madre di Cristian D'Alessandro, ha dichiarato di non avere dubbi in merito all'impegno del governo italiano per riportare suo figlio al sicuro. Era attesa e necessaria questa rassicurazione, visto la reale piega che ha assunto la causa: più che politica, è oramai umanitaria. Stiamo parlando di 30 persone detenute in un carcere in cui le condizioni sono estreme con un’accusa che non sta in piedi, e cioè quella di pirateria, la cui definizione è di “assalto con l'uso della forza al fine di appropriarsi di un bene altrui”. L’Artic Sunrise dei Greenpeace voleva semplicemente piazzare una bandiera sulla piattaforma, come è ben visibile dai video dell’operazione che abbiamo visto e rivisto in rete in questi giorni.

Un fiore in un cannone culminato in un’inverosimile lesione dei diritti umani, che ha suscitato altri fiori nei cannoni, come le petizioni e le centinaia di manifestazioni pacifiche in tutto il mondo. Sarebbe stato bello veder unirsi l'Europa in un'azione congiunta per la chiusura di questa vicenda, la stessa Europa sentinella pronta a tuonare quando sono altri i conti che non tornano. Ma stavolta non si tratta di bilanci nè di manovre finanziare, bensì di persone innocenti: attendiamo comunque fiduciosi una risoluzione, che riporti a casa Cristian e gli altri.

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