Nel giorno in cui Papa Bergoglio denuncia che “l’ergastolo è come un’esecuzione”, dall’altra parte del Tevere, nella Repubblica Italiana, i giudici della Corte d’Appello d’Assise mettono fine ai sogni di libertà di uno dei protagonisti di quella che fu la Banda della Magliana. Marcello Colafigli, detto “Marcellone”, o com’è chiamato nel libro di Giancarlo De Cataldo “Bufalo”, non uscirà dal carcere. E’ questo il responso dato oggi al Tribunale di Piazzale Clodio a Roma. Uno dei protagonisti di quello che fu un vero e proprio romanzo criminale, di cui ancora se ne vedono gli strascichi nella Malaroma di oggi, continuerà a scontare il suo ergastolo a Torino dove è rinchiuso.
Non si sono fatti “distrarre” dal numero di anni che, nella sua vita, ha passato dietro le sbarre (37). Neanche dalla sua permanenza, di lungo corso, nell’ospedale psichiatrico giudiziario di Aversa. “Il ricorso presentato da Colafigli è stato dichiarato inammissibile dalla Corte per essersi già formato il giudicato esecutivo sul provvedimento, che a seguito del cumolo delle pene, gli aveva applicato l’ergastolo”. Questa è la formula più semplice di una motivazione giuridicamente complessa ma definitiva. Dopo aver presentato per sette volte lo stesso ricorso e per sette volte aver trovato parere contrario, il ricorso stesso non ha più motivo di esistere. Il 6 Ottobre, quando si fronteggiarono il sostituto Procuratore della Repubblica Otello Lupacchini e l’avvocato di “Marcellone”, la partita sembrava aver già preso una piega sfavorevole per il boss di Poggio Mirteto. Oltre due ore di requisitoria di chi aveva abbattuto il muro di omertà e d’ignoranza sulla Banda della Magliana, non lasciavano molte vie d’uscita alla difesa.
Per la Roma sotterranea, quella di chi sta seduto fuori dai bar, tutto il giorno, con i Ray Ban inforcati e qualche decina di anni nella fedina penale, il chiacchiericcio sulla sorte del Bufalo è stato argomento estremamente discusso in questi giorni. Il passaparola su una sua possibile uscita dal carcere aveva innervosito chi controlla le piazze, le bische, lo “strozzo”, le strade di quartiere. Certi conti con il passato non sono mai stati pagati e chiusi fino in fondo. Se fosse uscito Colafigli, forse, qualche problema l’avrebbe creato. Molto probabilmente più per l’immaginario che per l’effettiva pericolosità del personaggio.
Non bisogna infatti dimenticare che la fine della Banda coincise con la divisione della stessa in due fazioni, che si decimarono a vicenda: i testaccini e quelli della Magliana. Per assurdo, quando fu ucciso “Renatino” De Pedis, capo indiscusso dei primi, fu il momento esatto in cui gli stessi vinsero. Infatti, dopo più di vent’anni, a comandare la Roma criminale, c’è chi è sempre stato l’erede del boss freddato in Via del Pellegrino. Non è difficile da immaginare che, davanti allo schermo di un computer, dentro a un locale in mezzo a vecchi amici o forse leggendo dal giornale di un bar, la notizia della permanenza in carcere di Colafigli abbia strappato un ghigno di soddisfazione a quel volto segnato da un proiettile. Il volto di chi è chiamato “er cecato”.