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Opinioni

Codesto solo oggi possiamo dirti: ciò che non siamo, ciò che non vogliamo

Non siamo i figli dei talent show e dei reality, non ci accontentiamo di un like su facebook per fare la rivoluzione, non di giudicare un politico perché è giovane e fresco o perché vecchio e saggio. Siamo quello che cresce e non fa rumore, come l’albero nella foresta. E siamo tanti. Non la maggioranza, ma tanti.
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Le speranze per l'anno appena entrato, lo sappiamo dai tempi delle Operette Morali di Giacomo Leopardi, son cose  destinate ad andare in fumo come i fuochi artificiali che in quantità industriale anche stavolta sono stati sparati dal Nord al Sud Italia. Niente speranze? Va bene. Allora  volendo citare il Poeta (in questo caso l'Eugenio Montale degli ‘Ossi di Seppia') possiamo però dire a chiara voce «ciò che non siamo, ciò che non vogliamo».

Non siamo una generazione di perdenti. Ci hanno definiti«bamboccioni», «choosy», «cocchi di mammà», ci hanno chiamati«eterni adolescenti». Provateci voi, a farvi una vita a venti, trenta, pure a quarant'anni, in Italia. Non è solo una questione di precariato cronico e Jobs Act. È proprio questione di un sistema che respinge ogni idea di freschezza, di nuove e diverse idee, di prospettive. Poi dice che qualcuno suggerisce di andar via dall'Italia per poi tornare. Non è il massimo. Ma mica è una cattiva idea.

«Non vogliamo essere subito già così senza sogni». Lo scriveva Pier Paolo Pasolini. «Siamo stanchi di diventare giovani seri, o contenti per forza, o criminali, o nevrotici: vogliamo ridere, essere innocenti, aspettare qualcosa dalla vita, chiedere, ignorare», diceva ancora. E c'è bisogno di aggiungere altro? È una frase che dovrebbe essere resa nota a tutti gli italiani fra i 20 e i 35 (facciamo 40) anni. Dovrebbe essere il nostro "diritto alla felicità", come quello che gli Stati Uniti hanno scritto nella Dichiarazione d'indipendenza.

Non siamo quelli che hanno scritto la Costituzione. Non vogliamo essere quelli che la seppelliscono. Calpestata, vilipesa, umiliata, strumentalizzata: la Carta costituzionale italiana è maltrattata ma non è ancora a brandelli in un cestino. Il diritto al lavoro, ad un equo compenso, la parità donna-uomo, il diritto a poter costruire una famiglia (di qualsiasi tipo!) sono fari indicatori del nostro Paese, appannati da mediocri discussioni politiche. Che sia l'anno delle lotte in nome di quella pagina di Storia patria.

Non vogliamo dimenticare la nostra identità. Eravamo «un popolo di poeti di artisti, di eroi, di santi, di pensatori, di scienziati, di navigatori, di trasmigratori». E ora? La nostra arte è ammuffita nei musei e maltrattata negli scavi archeologici (do you know Pompei?). I nostri scienziati sono scappati all'estero, i nostri navigatori come Samantha Cristoforetti li ricordiamo solo quando ci fanno "ciao ciao" dallo spazio. I trasmigratori, poi, li abbiamo proprio dimenticati. Infatti oggi che altri migrano dalle nostre parti addirittura qualche politico in felpa verde vorrebbe impedirglielo, in virtù di una strumentale ignoranza della storia recente. E per quel che riguarda santi e eroi beh, «non esiste una terra dove non ci sono», cantava il Bennato dell'Isola che non c'è. Continueremo ad averli, i santi e gli eroi.

Non vogliamo l'età come un merito. Abbiamo un Presidente del Consiglio giovane e per questo molti si sono compiaciuti. Abbiamo boiardi di Stato ultrasettantenni e per questo altri si compiacciono. L'età non è la saggezza, l'età non è la freschezza. L'età è un qualcosa che si misura insieme alle parole, ai progetti e alle cose realizzate: non è una assicurazione. Quando la smetteremo di accontentarci della carta d'identità?

Non siamo quelli dei talent show. È vero: ne siamo circondati. Ma non è l'unica cosa che c'è, basta guardare oltre. Basta vedere quello che c'è nel sacco delle competenze, nei laboratori, nelle piccole cooperative, nelle compagnie artistiche, nei centri sociali, nelle educative territoriali di periferia. È quello che cresce e non fa rumore, come l'albero nella foresta. Fanno rumore i "Mondi di Mezzo", le Gabbie televisive con la gente che si scanna, gli scherzi radiofonici da imbecilli, le diffamazioni a mezzo social network. E che si può fare? Attendere che i tempi cambino. E intanto, continuare a seminare bene.

Non siamo come voi. Non vogliamo esserlo. Mai. Non siamo i Buzzi e i Carminati che festeggiano sui profughi. Non siamo i boss pentiti Schiavone per cui moriremo tutti appestati (e lui, invece, circola indisturbato). Non siamo nemmeno quelli che la Terra dei fuochi non esiste, così come non esistono le discariche di Bussi e i morti per amianto. Non eravamo alle cene eleganti e allo stesso modo non lecchiamo il culo cambiando il verso sui social network; non siamo convinti che tutto sia Gomorra, non siamo convinti che Gomorra sia tutto. E abiti solo a Scampia, Napoli (o a Quarto Oggiaro, Milano o allo Zen di Palermo o a Tor Bella Monaca, Roma).  Nessuno ci convincerà che è meglio abbozzare, fermarsi alla lamentela seduti a tavola, cliccando un like, guardando la tv o lo smartphone.

Nessuno sta dicendo che siamo la maggioranza. Ma di questi tempi  è davvero bello star seduti "dalla parte del torto".
Buon 2015 a tutti.

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Giornalista professionista, capo cronaca Napoli a Fanpage.it. Insegna Etica e deontologia del giornalismo alla LUMSA. È autore del libro "Se potessi, ti regalerei Napoli" (Rizzoli). Ha una newsletter dal titolo "Saluti da Napoli". Ha vinto il Premio giornalistico Giancarlo Siani nel 2007 e i premi Paolo Giuntella e Marcello Torre nel 2012.
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