Cocaina, l’incentivo per lavorare meglio. Oggi come mille anni fa
I tempi in cui la cocaina era una merce rara, uno sfizio riservato alle classi sociali medio-alte sono finiti. Oggi, come scrive Repubblica, ne fanno uso tutti. Motivo principale di questa inversione di tendenza sarebbe il cambiamento in peggio del mondo del lavoro. Dipendenti sfiancati da turni massacranti per uno stipendio che spesso non corrisponde al "travaglio". Le conseguenze sono quasi naturali: esaurimento, depressione, spossatezza. La soluzione? Ricorrere alla magica "polvere bianca" per vincere la stanchezza e migliorare le proprie prestazioni. Così scrive Paolo Berizzi nella sua inchiesta sui "mestieri della coca":
Sono macchine fatte di carne e vanno a cocaina. Si dopano per aumentare le prestazioni, per vincere lo stress e la fatica, e reggere i ritmi. La prendono a casa prima di uscire la mattina. O sul posto di lavoro. Magari in pausa. In cantiere. Negli spogliatoi del deposito dei tram, dell'ospedale, nella cucina del ristorante. Sulla cabina del Tir. Nei bagni del Parlamento (ricordate l'inchiesta delle "Iene"? Un parlamentare su tre positivo ai test anti droga) e dei tribunali. In taxi. Prima di mettersi alla cloche dell'aereo. Grazie alla polvere bianca riescono a lavorare anche quindici ore senza staccare: se non per uno, o più, "richiamini".
In Italia 2 milioni di persone farebbero un uso assiduo di cocaina, 700mila saltuariamente. Ma i "cocainomani da lavoro", difficilmente rientrano in queste cifre. Per Repubblica un lavoratore su cinque, nelle categorie più "critiche", ne fa uso «come stimolante lavorativo». E così l'oro bianco può essere considerato davvero il “farmaco” del nuovo millennio. Lo prendono imprenditori, manager, magistrati, piloti, operai, avvocati, autisti, poliziotti, artigiani, imbianchini, muratori. «La coca promette molto, ti offre chiavi di accesso ma poi, al massimo dopo un anno, inizia a presentarti il conto», scrive Berizzi. Il cuoco si scorda gli ordini che arrivano in cucina, la baby-sitter è convinta di essere più attenta a suoi bimbi, il camionista di restare sveglio alla guida e pure i campioni dello sport non riescono a dire "no" alla tentazione. Tutte le professioni hanno in comune l'uso di cocaina.
«Il periodo della coca intesa come sostanza di moda sta finendo» dice a Repubblica Riccardo Gatti, capo della Asl 1 di Milano ed esperto di tossicodipendenze. «La sovraesposizione iniziata con lo yuppismo e il post yuppismo – continua Gatti -ha lasciato il posto anche a usi “altri”. Utilizzi comuni, come quelli del doping sul lavoro. Nessuna categoria esclusa. Da una parte c’è la convinzione di potere resistere a una fatica oggettiva, o percepita come tale. Dall’altra, partendo da un’insicurezza di base, ci si illude di riuscire ad ottenere da se stessi più di quello che si è».
E i controlli? Da oltre un anno sono obbligatori i test antidroga per le categorie professionali più a rischio. Piloti di aereo, conducenti di mezzi pubblici, macchinisti, tassisti, ma anche poliziotti, medici e infermieri, vengono sottoposti a test periodici per verificare se assumono sostanze stupefacenti. «Finora però i risultati sono stati poco incoraggianti – dice Piero Apostoli, presidente della Società italiana medicina del lavoro – .In caso di positività le aziende sono obbligate a segnalare il lavoratore al Sert sottoponendolo a cure. Ma siccome per tutta la durata del trattamento hanno anche l'obbligo di tenerlo in carico, finisce che molte aziende non hanno un grande interesse a stanare chi assume sostanze… »
Ma a ben vedere, la storia dei "mestieri della coca" è vecchia quasi quanto l'uomo stesso. Per le civiltà meso-americane la pianta di coca era sacra, in particolare per gli Incas. Gli sciamani la utilizzavano durante i rituali, ma a consumarla erano soprattutto contadini. Bastava tenere in bocca qualche foglie di coca per resistere ore ed ore nelle piantaggioni e in miniera. In realtà le popolazioni che abitano gli altipiani della catena andina (Colombia, Ecuador, Perù, Bolivia e nord del Cile) ne fanno ancora uso. Del resto masticare la pianta è un conto, "tirare" la sostanza derivata dal trattamento della stessa è un altro.