Cloe Bianco, parla il preside: “Ha causato un impatto traumatico ai suoi alunni”
"D'ora in poi voglio che mi chiamiate Cloe". Queste le parole con le quali il 27 novembre 2015 l'allora supplente Luca Bianco si presentò ai suoi alunni dell'istituto Scarpa-Mattei di San Donà di Piave, in provincia di Venezia, indossando abiti femminili e una parrucca bionda. Così fece coming out. Ora il ministero ha avviato un’ispezione e all’Ufficio scolastico regionale si sta lavorando alla relazione che comprende i documenti relativi al procedimento al quale fu sottoposta e che si concluse con una ‘condanna' a tre giorni di sospensione. La professoressa il 10 giugno si è tolta la vita dando al fuoco al camper in cui viveva. Il suo cadavere, ormai carbonizzato, è stato ritrovato all'alba di sabato: era parcheggiato a lato della strada regionale tra Auronzo e Misurina (Belluno).
Intanto però il dirigente scolastico Francesco Ariot dice la sua: "L’istituto non fece nulla per metterla in difficoltà – assicura Ariot – alla fine era una brava insegnante e questa era l’unica cosa che contava. Infatti continuammo a chiamarla come supplente anche in seguito, ma non tornò. C’è chi dice che fu demansionata e costretta a lasciare l’insegnamento. Non è vero", le parole del preside al Corriere della Sera. Cloe, ricorda il quotidiano era iscritta alla graduatoria degli insegnanti e a quella del personale amministrativo. "Fu lei, in seguito, a rinunciare alle supplenze per accettare gli incarichi in amministrazione". Di certo c’è che continuò a lavorare fino al 2019. Poi rifiutò ogni contratto e sparì.
Secondo il dirigente, Bianco si presentò agli alunni nella sua nuova identità generando negli studenti un "impatto iniziale traumatico". In particolare in un’alunna che "si allontanava dalla classe colpita da crisi di pianto" e in un prof che "è rimasto impietrito". In più Cloe si presentava a scuola vestita in modo "vistoso", "volgare" ed "eccessivo". Affermazioni tuttavia smentita a Fanpage.it da una ex alunna di Cloe Bianco.
Intanto, nell’ottobre del 2016 era arrivata la sentenza del giudice del lavoro Luigi Perina relativa al coming out. "La questione centrale – scriveva il magistrato – non riguarda la sussistenza del diritto alla propria identità di genere, bensì tempi e modalità concrete con le quali questo diritto è stato esercitato". Il giudice condivide l’idea che Cloe agì con "scarsa attenzione all’incidenza della propria scelta personale nell’ambiente scolastico e in particolare nei confronti degli studenti".
L’abbigliamento non adeguato era "sintomatico della scarsa attenzione alle ricadute della propria condotta". Per questo confermò i tre giorni di sospensione, respinse la richiesta di 10mila euro di risarcimento e la condannò a pagare mille euro di spese. "Fu vittima di una sanzione ingiusta. Sullo sfondo c’è sicuramente una condotta discriminatoria e una forte ipocrisia" dice avvocato Marco Vorano, che la difendeva. "Non ho idea se possa esserci un collegamento tra la sua morte e ciò che accadde all’epoca. Inizialmente Cloe era decisa a impugnare la sentenza, ma dopo venti giorni sparì e di lei non ho saputo più nulla. Fino al suo suicidio".