Ciccio e Tore, appello del papà a 13 anni dalla loro morte: “Chi sa come andò, dica la verità”
Sono passati esattamente 13 anni dal 5 giugno 2006, quando i fratelli di Gravina in Puglia, Ciccio e Tore Pappalardi, rispettivamente 13 e 11 anni, sono scomparsi nel nulla, dopo essere usciti di casa per "andare a girare un film" con la telecamere del papà di un amichetto. I loro cadaveri saranno ritrovati mummificati solo due anni dopo, il 25 febbraio del 2008, nella cosiddetta "casa delle cento stanze", un enorme casolare in mattoni, dove la temperatura fissa è di circa sei gradi, e in cui era finito un bimbo di 12 anni che i vigili del fuoco erano andati a soccorrere. Tra i primi ad essere sospettati, subito dopo la sparizione dei fratellini, c'è il papà, Filippo. Dopo essersi recato nella caserma dei carabinieri del paesino in provincia di Bari per denunciare il fatto che dei suoi figli non vi era più traccia, è finito sotto accusa e infine in carcere per aver sequestrato, ucciso e nascosto i suoi due bambini. Almeno di questo si erano convinti gli inquirenti, prima di essere smentiti. Rispondendo alle domande del Corriere della Sera, è tornato a parlare della tragedia che ha distrutto la sua vita e a fare un appello, affinché chi sappia la verità parli.
"Ero in carcere a Velletri e c’era la televisione accesa. Dicevano che erano stati trovati in fondo a un pozzo i corpi di due bambini, non davano nessun nome ma a un certo punto hanno dato la descrizione dei vestitini. Erano i vestitini dei miei figli", dice Filippo Pallaradi ricordando il giorno del ritrovamento dei cadaveri di Ciccio e Tore. "Sei accusato ingiustamente di aver ucciso i tuoi figli – ha continuato -. Li trovano morti e tu, innocente, non puoi nemmeno correre a vederli, a piangere davanti a loro. Ora vivo per conoscere la verità". Secondo lui "quella sera non erano soli. Giocavano assieme ad altri ragazzini, da alcuni non si separavano mai. Se qualcuno avesse dato l’allarme si sarebbero salvati perché erano feriti ma, come hanno poi detto le autopsie, sono sopravvissuti per ore e ore. Mi fa stare male anche solo il pensiero. Erano là sotto, sofferenti, al buio, al freddo, e nessuno avrebbe mai sentito le loro urla". Ha ricordato che lo hanno accusato di "azioni che non sono degne di un essere umano e di un padre". Per la sua detenzione ingiusta ha avuto un risarcimento di 65mila euro: "Ne ho spesi la gran parte per i funerali e per la tomba. È bellissima", ha sottolineato.
Infine, l'appello: "Io credo che sia arrivato il momento di dire la verità. Non possiamo tornare indietro, ormai i miei figli non ci sono più ma io ho bisogno di sapere com’è andata. Ne ho bisogno per vivere in pace. So che si può sbagliare, si può avere paura di finire in qualche guaio e rimanere zitti, soprattutto se si è ragazzini e spaventati. Ma adesso quei ragazzini sono diventati uomini. Sono abbastanza grandi per capire che io, da padre, non mi posso rassegnare alle spiegazioni che ho avuto finora. Nonostante quello che ho passato, dimostro di avere ancora fiducia nelle istituzioni e nella giustizia chiedendo il loro aiuto. Vanno a indagare su casi vecchi di trent’anni, perché sul mio no?".