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Ci sono i nostri scheletri in quella barca ripescata dal fondo del mare

Quando davvero la storia riuscirà a mostrare le dimensioni della tragedia il barcone ripescato in queste ore sarà il museo della vigliaccheria. Ci saranno scolaresche in gita ad Auschwitz e sul ponte di questa nave. Cammineremo là dove si i corpi sono sdraiati asfissiati sott’acqua e racconteremo quanto l’uomo possa diventare un’isola quando puzza di disperazione e di paura.
A cura di Giulio Cavalli
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Mentre ripeschiamo il peschereccio che il 18 aprile dell'anno scorso ha inscatolato e disperso i corpi di 700 persone nel canale di Sicilia mi viene da pensare al relitto che è poi i relitti che siamo noi. Relitto è ciò che resta ai bordi della strada, in fondo al mare, sulle pendici di una montagna sorvolata con incuria o arrugginito in una collina di rifiuti. Ci sono, nel relitto, tutti i segni della consumazione, dell'usura affaticata e dell strada percorsa: la potenza del relitto è che ha disegnata addosso la curva della sua fine. Anche per questo quel peschereccio che ha trasportato cadaveri fino al fondo al mare sarebbe da esporre nelle piazze come monumento in memoria di tutto ciò che inosservato ci affonda intorno.

Verrà un giorno, credo, che questo Mediterraneo cimitero liquido di fuggitivi (perché non viaggia chi non sa dove arrivare, chi s'imbarca solo per scappare) muoverà nel ricordo le stesse pinze delle camere a gas, quei becchi di disperazione da cui non riusciamo ad assolverci, le stesse punte di una tragedia che ha pascolato prepotente in mezzo alla quotidianità impermeabile e anafettiva. Quando davvero la storia riuscirà a mostrare le dimensioni della tragedia il barcone ripescato in queste ore sarà il museo della vigliaccheria. Ci saranno scolaresche in gita ad Auschwitz e sul ponte di questa nave. Cammineremo là dove si i corpi sono sdraiati asfissiati sott'acqua e racconteremo quanto l'uomo possa diventare un'isola quando puzza di disperazione e di paura.

Ci chiederanno dov'eravamo noi. Sicuro. Forse qualcuno abbozzerà una scusa, una contrizione ritardataria e si dirà che come sono scappati i camini che bruciavano gli ebrei è successo che non abbiamo saputo dei camini in fondo al mare. Anche il mare è un muro che bisogna avere voglia di aprire. Anche il mare, dirà qualcuno per giustificarsi, s'inghiotte tutto tranne qualche bambino troppo leggero o una scarpa uscita da un oblò.

Quel relitto è la carcassa dell'Europa. Di questa Europa che s'è fatta moneta unica, frontiere aperte, amplessi finanziari e intanto si corrode nella disunità delle cose umane, rimane a decidere di provare a decidere con un tassametro feroce che scala i morti piuttosto che soldi. Quei cinquecento corpi rimasti per un anno a trecentosettantametri sott'acqua andrebbero estratti uno per uno, con l'obbligo di dargli un nome ciascuno, di scriverne per ognuno la storia, di mandarla a memoria come si manda a memoria un libro fondamentale da studiare. Dovremo ricordarci che hanno dovuto metterlo in frigo, il relitto. In una tenda grande come un capannone con la temperatura giusta per non spargere troppo odore; dovremo dire che abbiamo anestetizzato un quartiere per avere lo stomaco di guardarci dentro, alla tomba marina del canale di Sicilia.

Questo è il naufragio dei nostri scheletri.

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Autore, attore, scrittore, politicamente attivo. Racconto storie, sul palcoscenico, su carte e su schermo e cerco di tenere allenato il muscolo della curiosità. Collaboro dal 2013 con Fanpage.it, curando le rubriche "Le uova nel paniere" e "L'eroe del giorno" e realizzando il format video "RadioMafiopoli". Quando alcuni mafiosi mi hanno dato dello “scassaminchia” ho deciso di aggiungerlo alle referenze.
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