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“Ci mandano sui binari come se fosse un parco giochi”: parla l’amico di un operaio morto a Brandizzo

“Ho rischiato di essere travolto come il mio amico Kevin Laganà. Non c’era sicurezza. Questo mestiere non lo faremo più”. Le parole al Tg1 di due (ex?) dipendenti della Sifiger, l’azienda per la quale lavoravano i cinque operai travolti dal treno a Brandizzo. Parole che potrebbero rappresentare una svolta per le indagini.
A cura di Biagio Chiariello
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"Quattro mesi fa a Chivasso (Torino) ho rischiato di morire come Kevin [Lagana]. Se un collega non mi avesse afferrato per la maglietta tirandomi via dal treno, non sarei qui a raccontare". Le parole sono quelle di Francisco Martinez, che con l'amico e collega Giuseppe Cisternino della Sigifer, potrebbe dare una svolta all’indagine sulla strage di Brandizzo. L'operaio (o ex) dell'azienda di Vercelli in un'intervista al Tg1 – ripresa dalla stampa – ha rivelato come effettivamente quella di scendere sui binari senza nulla osta fosse una prassi, non un caso.

Ogni tanto mi attaccavo con i capi. Dicevo che non volevo salire sui binari se non c’era l’interruzione del servizio. E i capi mi chiamavano peperoncino. Dicevano che saltavo sempre su. Non era solo Massa. Altri tecnici Rfi autorizzavano i lavori anche senza permesso. Ci mandavano a salire sui binari per fare in fretta e aumentare il lavoro".

Dichiarazioni che ora potrebbero portare ad una convocazione in procura da parte della procuratrice Gabriella Viglione. E che rischiano di fare aumentare il numero degli indagati che al momento sono due: Antonio Massa, il tecnico di turno la tragica notte dell’incidente a Brandizzo, e Andrea Gibin, capo scorta di Sigifer. Gli operai che hanno perso la vita, oltre a Laganà sono stati Giuseppe Saverio Lombardo, Michael Zanera, Giuseppe Aversa e Giuseppe Sorvillo,

Ci mandano sui binari come se fosse un parco giochi", ha detto Cisternino alla Rai. "Quella sera avrei dovuto lavorare con loro. Non è arrivata la chiamata e sono salvo. Devo avere un angelo che mi veglia. Forse se fossi stato lì avrei visto il treno e avrei potuto avvisare, ma se non se ne sono accorti in cinque magari sarei morto pure io.

Insomma "lavorare senza che fosse arrivata l’autorizzazione per l’interruzione del servizio capitava molte volte", conferma l’operaio, che aggiunge: "Capitava per motivi diversi, magari per andare a casa mezz’ora prima o per accelerare il tempo di lavorazione. Nessuno si è mai rifiutato di lavorare in queste condizioni poco sicure. Tutti siamo saliti prima sul binario. Perché ci dicevano che potevamo salire. A volte Italo e Frecciarossa ci passavano a cinque centimetri".

E dei tecnici della Rfi, Cisternino poi dice: "Molte volte poi sparivano. Andavano sul furgone senza occuparsi di noi, che molte volte non sapevamo dove fossero. Non c’era sicurezza. Questo mestiere non lo farò più".

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