Chris ucciso a Negrar, si valuta arresto per il pirata della strada: “Si sarebbe salvato se soccorso”
Chris Abom, il ragazzino di 14 anni travolto e ucciso da un'auto pirata a San Vito di Negrar, nel Veronese, si sarebbe potuto salvare se solo fosse stato soccorso tempestivamente. È quanto hanno confermato agli inquirenti i sanitari che hanno preso in cura l'adolescente, morto in ospedale per ipossia, essendo rimasto accasciato a terra per almeno un'ora prima che venissero allertati i soccorsi dopo l'incidente.
Alla guida dell'auto che ha ucciso il ragazzo c'era un operaio 39enne che dopo averlo investito con la sua auto è fuggito via, abbandonandolo sull'asfalto. Per lui la Procura della Repubblica di Verona sta valutando la richiesta di una misura cautelare.
"L'automobilista non si poteva arrestare, non c'era flagranza di reato. Se si fosse proceduto all'arresto sarebbe stato illegale. Al massimo si poteva valutare il fermo di pg. Ma, al 99%, anche questo non sarebbe stato convalidato", ha detto all'Ansa il sostituto procuratore di Verona Bruno Bruni, replicando alle polemiche sorte dopo l'investimento del 14enne.
"I carabinieri – ha aggiunto – hanno valutato che non vi fosse pericolo di fuga. Certo, si era allontanato dal luogo dell'incidente, ma era tornato a casa, non era scappato". L'incidente è avvenuto nella notte e, secondo quanto ricostruito, la mattina dopo il 39enne era al lavoro come se nulla fosse accaduto nonostante l'auto fosse ammaccata e sporca di sangue. Ai militari ha detto: "credevo di aver urtato contro un paletto della strada". Una giustificazione giudicata inattendibile per i militari visti i danni della vettura, una Renault Expace, che è intestata alla madre dell'indagato.
Inconfutabili anche i video della telecamere di sorveglianza del comune della Valpolicella che riprende l'uomo mentre si reca al lavoro alla guida dell'auto con mezzo parabrezza sfondato e altri danni al cofano, causati quasi sicuramente dall'investimento del ragazzino.
Ma anche i pezzi trovati sull'asfalto, vetri di fanale e specchietto retrovisore, compatibili con la vettura dell'incidente. A questo si aggiunge la testimonianza di un residente della zona che ha sentito il botto dell'impatto, ma non ha saputo descrivere l'auto nè si è accorto del corpo del ragazzino che era finito in un fossato erboso al lato della strada. All'uomo, dopo il sequestro della patente e quello della vettura, sono contestati i reati di omicidio stradale, l'omissione di soccorso e la fuga.
Intanto, i genitori, la madre Diana e il papà Emmanuel, entrambi di origine ghanese e residenti nel veronese da una ventina di anni, attendono il nullaosta dall'Autorità giudiziaria per la restituzione della salma e poter così celebrare il funerale del figlio.