Chioggia, insulti razzisti al medico fiscale: “Mi diceva ‘ne*ro di m*rda, qui comando io’ “
Insulti razzisti e percosse da un paziente al medico durante il turno di lavoro. Albert (nome di fantasia perché chiede di rimanere anonimo) è un medico fiscale che lavora a Chioggia. Arrivato dal Camerun nel 201o per studiare medicina, vive in Italia da allora. Ha 30 anni e una figlia piccola. Durante il suo turno di lavoro, ci racconta, è vittima di discriminazioni di diverso tipo: c'è chi lo allontana pensando sia un venditore ambulante e chi adduce come giustificazione alla propria diffidenza i furti avvenuti nel quartiere. Questa volta però la discriminazione è diventata violenza. "Dovevo effettuare una visita a Chioggia – spiega a Fanpage.it – e avrei dovuto iniziare alle 17. Quando sono arrivato presso l'abitazione del mio paziente, lui non era in casa. Ho chiesto informazioni ai suoi vicini che hanno prima ammesso la sua assenza e poi hanno cercato di prendere tempo in attesa che arrivasse, sostenendo che stava dormendo. L'uomo ci ha raggiunti 10 minuti dopo l'inizio della visita fiscale in costume da bagno". Quando Albert gli spiega che avrebbe dovuto segnalare la sua assenza all'INPS, l'uomo sbarra il cancello del cortile della sua abitazione e rompe il tablet del medico. Lo colpisce al petto più volte e poi lo minaccia: "Ne*ro di me*da, scrivi quello che dico io. Non puoi venire in Italia e fare quello che ti pare".
"Io ero spaventato – racconta ancora -. Provo a chiedere aiuto ai suoi vicini di casa, che però mi rispondono con un laconico "ora te la vedi con lui". Cerco di calmare le acque e gli dico che avrei fatto come chiedeva. Lui all'inizio non ci crede, poi si convince e si allontana per prendere i documenti utili alla pratica. Io quindi chiamo il 112, nascondendo il telefono tra i moduli che avevo con me". Neanche il tempo di nascondere il cellulare che l'uomo fa ritorno in giardino con un bastone. "Qualcuno lo aveva informato della mia telefonata alle forze dell'ordine. Mi ha chiesto insistentemente il cellulare e alla fine me lo ha sequestrato. Io ero in trappola, pensavo solo alla mia bambina di 22 mesi a casa che mi aspettava. "Ho acconsentito a tutto quello che mi chiedeva. Lui però non era contento. Voleva il mio nome e cognome e l'indirizzo di casa. "Se succede qualcosa ti vengo a cercare", ha detto".
Dopo un'opera di mediazione, Albert riesce a lasciare l'abitazione. Scosso e dolorante si allontana a piedi, ma subito nota il paziente poco dietro di lui. "Mi chiudo nella mia auto e lui cerca di sfondare il finestrino. Continuava a urlarmi contro insulti razzisti, così io ho messo in moto e mi sono allontanato. A quel punto lui è salito in sella allo scooter di un vicino di casa ed è iniziato un lungo inseguimento". Il tutto si conclude con l'arrivo degli agenti. "Hanno raccolto la mia deposizione. Abbiamo parlato a lungo. Il mio aggressore invece è stato rimproverato, forse per neppure cinque minuti. Ho sporto denuncia, ma sono molto spaventato. Dovevo tornare a casa dalla mia famiglia per mangiare tutti insieme una pizza e invece ho pensato che sarei morto. Ogni giorno c'è qualcosa che mi fa arrabbiare o che mi intristisce, ma mi sono abituato. Penso che se io e la mia famiglia stiamo bene, tutto il resto è risolvibile. Sono ancora molto scosso e ho paura che quest'uomo ci trovi e possa fare del male a me, alla mia compagna e alla mia piccola".
Gli episodi precedenti
"Altre volte ho dovuto gestire situazioni assurde. Non sono mai stato vittima di violenza prima, però mi è capitato di avere una lunga conversazione con un negoziante al quale avevo chiesto informazioni per raggiungere casa di un paziente. Individuata l'abitazione, decido di aspettare in auto e il negoziante si è allontanato. Due minuti dopo mi raggiunge la polizia che mi chiede i documenti. Gli agenti mi spiegano che l'uomo con cui avevo parlato ha segnalato la presenza di una "persona sospetto in auto". Sono cose alle quali ti abitui, in qualche modo". Albert ha rischiato già una volta di essere aggredito durante il suo turno di lavoro. "Sono andato a casa di una donna che si è mostrata subito gentile. Entrati nell'appartamento, le ho detto che avrei spruzzato del disinfettante sul tavolo della sua cucina per via del Covid e lei mi ha dato il consenso. Si allontana per prendere dei documenti e poi la sento chiamare aiuto. In pochissimo tempo un vicino di casa entra nell'appartamento armato di cacciavite. Gli ho spiegato che ero lì per una visita, ma lui non mi credeva. Mi ha accusato di aver cercato di derubare la mia paziente. Anche in quel caso mi sono spaventato, ma tutto si è calmato in fretta. Poi ci sono i piccoli episodi di discriminazione quotidiana ai quali, se sei un medico nero a Chioggia, prima o poi fai l'abitudine. Quello che fa male è pensare che potresti uscire per andare a lavoro e non fare più ritorno".