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Chi versa in ritardo le tasse perde il diritto alla rateizzazione

La Corte di Cassazione con la sentenza n. 9176/2016 ha stabilito effettuare il versamento relativo a un accertamento fiscale già impugnato oltre il termine perentorio previsto, anche se di pochi giorni, comporta la decadenza dei benefici di riduzione e rateazione previsti dalla legge.
A cura di C. M.
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Agenzia delle entrate fisco rateizzazione

Versare le tasse in ritardo di tre giorni comporta la decadenza dei benefici di rateazione e di riduzione delle sanzioni imposte dalla legge. E' quanto ha stabilito la Corte di Cassazione con la sentenza n. 9176/2016. Secondo la Corte, infatti, essendo il ritardo causato da un'inadempienza del contribuente, configura la decadenza dei benefici sancita  per effetto dell'art. 15 del d.lgs. n.218 del 1997. Secondo la Corte, il ricorrente, che aveva impugnato la cartella esattoriale emessa in seguito all'iscrizione a ruolo dell'importo dovuto, maggiorato delle sanzioni previste dal ritardato pagamento, avrebbe tenuto un comportamento negligente e il mancato versamento nei termini previsti non sarebbe dipeso da errori dell'amministrazione, ma da una condotta imprecisa tenuta dal contribuente.

Non solo: infatti, presentatosi in banca per effettuare il pagamento il giorno dopo la scadenza del termine ultimo, il ricorrente ha presentato il modulo di versamento privo del codice identificativo dell'Irap che avrebbe permesso di capire a quale regione dovesse essere girato l'ammontare dell'imposta locale saldata. "Non rientrava nei compiti dell'Ufficio inserire nel Modello di versamento il codice identificativo dell'Irap, non essendo nella condizione di sapere preventivamente quale sia la regione alla quale competeva il versamento dell'imposta locale da parte del singolo contribuente", rileva la Corte, che inoltre sostiene che "tale codice era facilmente reperibile dall'elenco dei codici delle regioni, regolarmente pubblicato nel supplemento ordinario della Gazzetta ufficiale n.63 del 17/3/2005".

La combinazione di queste due motivazioni, quindi, ha portato al rigetto della richiesta della difesa, che chiedeva di applicare il principio del "lieve inadempimento" – introdotto con la riforma fiscale dell'ottobre 2015 – sostenendo che il contribuente non meritasse di vedersi revocare i benefici di riduzione previsti dalla legge. Il "lieve inadempimento", però, rileva la Corte, non è applicabile retroattivamente all'anno di imposta 2002 e pertanto il ricorrente è stato condannato al pagamento delle spese di giudizio, ovvero 1.500 euro in favore dell'Agenzia delle Entrate.

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