Donatella Di Cesare è una filosofa italiana di origine ebraica, ma anche una figura impegnata costantemente nel dibattito pubblico e politico, alternando saggi di intervento sull'attualità a libri più prettamente accademici, riflessione teorica a editoriali sulla stampa. Il Giorno della Memoria è stata l'occasione per un dialogo su negazionismo, antisemitismo e complottismo, a partire da due volumi recentemente dati alle stampe dalla professoressa. Il primo è Il complotto al potere (Einaudi), il secondo è la riedizione ampliata per i tipi di Bollati e Boringhieri di Se è Auschwitz è nulla. Contro il negazionismo.
Perché la scelta di tornare dieci anni dopo sul tema del negazionismo della Shoah?
C'è un motivo contingente. La vittoria in un vicenda processuale che mi vedeva come imputata terminata con l'assoluzione. Sono stata portata in tribunale perché definivo negazionista Costanzo Preve. Il processo è stata l'occasione di riesaminare il percorso intellettuale di Preve, dal marxismo alla destra che oggi chiamiamo "rossobruna", ma anche di tornare ad affrontare la questione più in generale. Volevo capire i meccanismi del negazionismo, come si è evoluto perché è un fenomeno che, lungi dallo scomparire è cresciuto assumendo nuove forme. Quando parliamo di "rigurgito" disegniamo qualcosa che fa parte del passato e prima o poi scomparirà, e invece l'eredità del nazismo è ancora ben piantata nel nostro presente non è una questione del passato. Walter Benjamin parlando del fascismo ci dice che lo "stupore" annuncia la sconfitta, invece di stupirci dobbiamo capire politicamente questi fenomeni.
Di negazionismo ormai si parla quotidianamente, ma non in relazione alle camere a gas…
E non a caso il motivo ulteriore è stata la necessità di riflettere su come lo schema interpretativo che porta alla negazione della Shoah è passato ad altri contesti, come la negazione della pandemia.
Quanto ha a che fare il complottismo con tutto ciò? Spesso nei frame comunicativi e negli schemi narrativi delle tesi complottiste vediamo tornare molti dei temi dell'antisemitismo moderno, un canone consolidatosi a cavallo tra ‘800 e ‘900. Quanto il complottismo nasconde un antisemitismo appena appena mascherato?
Considero il complottismo come un'arma di depoliticizzazione di massa, che fa molto comodo a chi detiene il potere politico ed economico. Il complotto disegna il partito degli stranieri, l'idea che ci siano dei poteri forti che agiscono nell'ombra, burattinai che reggono le fila di forze occulte e così facendo infiltrano il corpo sano della nazione, ne alterano l'identità con l'obiettivo di dominarci. E ovviamente all'apice del partito dello straniero c'è l'ebreo, in due facce diverse, da una parte l'ebreo Marx, lo sradicato quintessenza della rivoluzione socialista, dall'ebreo capitalista, l'avido banchiere. Entrambi li troviamo rappresentati nella propaganda antisemita del Novecento. Non c'è dubbio che il negazionismo abbia una radice complottistica, negazionismo e complottismo sono certamente in molti casi un antisemitismo mascherato.
Eppure queste posizioni continuano ad avere una certa cittadinanza nel dibattito pubblico, a volte mostrate per essere mostrificate altre volte presentate semplicemente come un'opinione tra le altre…
Questa idea neoliberale di prendere i negazionisti per revisionisti, ovvero per coloro che intendono "rivedere la storia", passandola al vaglio critico, riducendo la questione a un confronto culturale o di libertà di opinione. Questa è una posizione sono convinta sia sbagliata, perché occulta il fenomeno politico rappresentato dal negazionismo. La discussione se la Shoah o le camere a gas siano un fatto storico realmente accaduto non può essere una discussione tecnica o uno scambio di vedute, allo stesso modo non possiamo discutere davvero i numeri dei morti della pandemia in corso.
Nell'affrontare il nazismo e i fascismi prevale un approccio che definirei neoilluminista, che regala gli anni '30 e '40 a un momento buio della storia, a una storta di inspiegabile follia, invece di affrontare le radici profonde che ha Auschwitz nella storia Occidentale, dalla limpieza de sangre alla conquista coloniale e l'assoggettamento imperialista, al processo che porta allo Stato nazione alle retoriche nazionaliste. Dicendo solo "mai più" senza affrontare questi nodi non rischiamo di fallire?
Se nel caso del negazionismo un approccio neoilluminista nasconde la politicità delle ragioni di chi vuole negare Auschwitz, così rischia oscurare il progetto politico del Terzo Reich di Hitler e del nazionalsocialismo. Sembra quasi che i nazisti siano solo dei barbari razzisti, e non i portatori di un disegno politico e biopolitico che mirava a rimodellare l'umanità. Blut und boden, ovvero sangue e suolo, spesso ci si sofferma solo sul sangue. Tu hai un altro sangue e quindi vai eliminato dal corpo della nazione. Certo le Leggi di Norimberga sono anche questo ma conta anche moltissimo il suolo, che è un argomento scottante nella nostra contemporaneità – pensiamo ai muri, i fili spinati, le frontiere di terra e di mare – e viene messo da parte. Questo suolo mi appartiene tu non ci puoi stare, tu non hai cittadinanza o ti escludo dalla cittadinanza. Una eredità di cui non ci siamo liberati. Non crediamo più alle razze e quindi nessuno più è razzista? La realtà ci mostra che c'è un razzismo dopo le razze e c'è un antisemitismo dopo Hitler.