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Omicidio di Nada Cella

Chi ha ucciso Nada Cella: dopo 25 anni si riapre il cold case della segretaria di Chiavari

Dopo 25 anni senza colpevole, la svolta è vicina: l’assassino di Nada Cella potrebbe avere un volto e un nome. Annalucia Cecere, la cui posizione venne archiviata all’epoca dei fatti, risulta oggi indagata per omicidio volontario aggravato. Oltre alla donna sarebbero poi finiti nel registro degli indagati, questa volta per false informazioni al PM, Marco Soracco, datore di lavoro di Nada, e Marisa Bacchioni, madre di quest’ultimo.
A cura di Anna Vagli
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Il caso Nada Cella è sicuramente un cold case, un omicidio archiviato senza soluzione. Senza colpevole. Almeno fino ad oggi. Del resto, non è quantificabile il tempo decorso il quale un caso diventata pista fredda. Le ferite, come quelle aperte nella famiglia di Nada, non vanno mai in prescrizione. Ed infatti, a 25 anni di distanza dalla sua morte, la Procura di Genova ha aperto nuovamente le indagini ed ha incaricato il Prof. Emiliano Giardina, il genetista di Ignoto 1, di effettuare quelle comparazioni genetiche non espletate all’epoca dei fatti.

Si procede per omicidio volontario aggravato a carico di Annalucia Cecere, ex maestra allontanatasi da Chiavari poco dopo l’omicidio ed oggi residente a Cuneo. La sua posizione, già attenzionata nell’immediatezza dei fatti, era stata archiviata nel 1998. L’avviso di garanzia è però arrivato anche Marco Soracco, datore di lavoro di Nada, e a sua madre, Marisa Bacchioni, per il reato di false informazioni al pubblico ministero. Il primo avrebbe infatti mentito sul rapporto che lo legava ad Annalucia Cecere. Non una conoscenza superficiale ma assidua secondo il PM titolare delle indagini.

Dunque, dopo 25 anni, torniamo nuovamente sulla scena del crimine. E lo facciamo ripercorrendo i tratti salienti della vicenda.

Nada Cella e il suo profilo vittimologico

Nada Cella era nata il 5 luglio 1971 a Chiavari. Viene descritta da parenti e amici come una ragazza timida, introversa, dedita alla famiglia e al lavoro. Una ragazza con pochi svaghi, circoscritti alla palestra, al cinema ed alla fotografia. Dal 1991, Nada lavorava come segretaria nello studio del commercialista Marco Soracco e aveva raggiunto così una propria indipendenza economica. La tipica ragazza che, dal punto di vista vittimologico, è qualificabile come a “basso rischio”.

 I fatti

Lunedì 6 maggio 1996, Marco Soracco, datore di lavoro di Nada, giunge in ritardo presso lo studio di cui è titolare. In quel momento inizia a squillare il telefono ma Nada non risponde. Cercando di capire il perché la ragazza non adempia al compito, si reca nella sua stanza. Lo scenario è terrificante. Nada è distesa sul pavimento, supina, in una gora di sangue e con il capo che sfiora una delle pareti dello studio. Trema, ansima e ha gli occhi spalancati.

È scalza, le sue scarpe sono finite sotto un mobile e i suoi occhiali poggiano sul pavimento. Prova a toccarla, capisce che è grave e, con le mani ancora imbrattate di sangue, chiama il 113. Quando i sanitari arrivano sul posto la ragazza è in coma e viene trasportata in fin di vita all’ospedale San Martino di Genova. Morirà alle 14.10 quando già si parla del caso di Nada Cella.

La scena del crimine

Siamo in un condominio di via Marsala a Chiavari, cittadina ligure affacciata sul mare che segna il record europeo per numero di telecamere installate: una ogni cento abitanti. 249 in tutto. Nessuna di queste, però, registrerà movimenti strani il giorno del delitto.

La scena del crimine è lo studio del commercialista Marco Soracco. Sono le 9.15 quando quest’ultimo chiama il 113.

I primi ad accedere sul luogo del delitto, dopo il commercialista, sono i sanitari. E proprio questi ultimi, non avendo alcuna cognizione dell’importanza di preservare la scena, saranno i primi ad alterarla nel tentativo di prestare immediato soccorso. Ma, a compromettere irrimediabilmente la genuinità dello stato dei luoghi, almeno fino ad oggi, è stata l’attività di Marisa Bacchioni, madre di Marco Soracco. La donna ha infatti ripulito la stanza lavando via la maggior parte delle tracce di sangue e, insieme ad esse, anche quelle dell’assassino. I Carabinieri sono stati gli ultimi a fare l’accesso sulla scena.

Per comprendere il perché simili errori nell’immediatezza di un delitto possono addirittura comprometterne la risoluzione, occorre tenere in considerazione il principio di Locard (o dell’interscambio) secondo cui “ogni contatto lascia una traccia”. Anche  ciò che non si vede è presente. Il principio di Locard è il ground zero di ogni attività investigativa e si serve di ogni interazione che può essere letta nella triade scena, vittima e offender.

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Il giorno del delitto

Non è chiaro a che ora Nada arrivi in studio perché nessuno la vede entrare nel condominio. Sappiamo però che alle 7.51 accende il computer e che alle 8.40 la cliente Giuseppina di Vaio effettua la prima di quattro chiamate.

Intanto, l’arrivo sulla scena di Marco Soracco è stato collocato tra le 9.05 e le 9.12. Con certezza sappiamo solamente che l’uomo effettua una chiamata ai soccorritori alle ore 9.13 ed una alle 9.20 alla madre Marisa Bacchioni, che abita nell’appartamento sovrastante. L’omicidio di Nada si è consumato tra le 8.50 e le 9.10. In quindici minuti.

 

La ricostruzione criminodinamica

 L’assassino di Nada Cella aveva le chiavi dell' ufficio o un volto a lei conosciuto.

Dagli elementi rilevati e non andati persi in sede di sopralluogo é anzitutto possibile escludere che tra Nada e il suo assassino ci sia stata colluttazione. Nessuna rapina. Il bersaglio, quel giorno, era proprio lei.

Nessun tipo di effrazione è stata riscontrata su porte e finestre, dall’ufficio non è stato prelevato nessun oggetto (almeno stando alle dichiarazioni di Soracco) o somma di denaro e non residuano evidenti segni di lotta nell’ambiente.

La consulenza medico legale ha attribuito la causa di morte a delle lesioni cranio-encefaliche. La ragazza non ha avuto il tempo per difendersi ed è stata colpita alla testa con un corpo contundente. Dell’arma non sappiamo altro, non essendo mai stata ritrovata.

Sappiamo però che la Cella ha ricevuto un primo colpo al volto. Un colpo sul mento che le ha fatto perdere l’equilibrio e saltare gli occhiali sul pavimento. E sarà proprio in quel momento che, durante un tentativo di fuga, il suo l’aggressore la scaraventerà sul pavimento facendole perdere le scarpe.

La reazione di Nada ce la racconta l’autopsia. Sulle mani e sulle sue dita sono state trovate molteplici lesioni e la ricostruzione criminodinamica fa supporre che sia stata proprio lei a strappare il bottone rinvenuto sulla scena e con ogni probabilità appartenente all’assassino. Ogni suo tentativo di difesa si è rivelato vano. Una volta stesa sul pavimento è stata massacrata con calci e pugni e colpita nella regione fronti-parietale con un corpo contundente. Per Nadia è la fine.

Ma poteva esserlo anche per il suo aggressore. E poteva esserlo perché quando se n’è andato la ragazza respirava ancora. Era sicuro di averla uccisa o è dovuto scappare perché rischiava di essere scoperto?

L’attività di sopralluogo

 La polizia scientifica di Genova, in sede di sopralluogo, oltre a impronte, formazioni pilifere e tracce di sangue, ha repertato un piccolo bottone di metallo ed uno scontrino.

Il bottone

Il bottone di metallo è color bronzo, intriso del sangue di Nada, con disegnata una stella a cinque punte, un cerchio e la scritta “Great seal of the State of Oklahoma 1907”. Gli investigatori hanno iniziato fin da subito ad indagarne la provenienza presso le mercerie e le bancarelle del mercato di Chiavari. Hanno poi interpellato tutte le principali ditte produttrici italiane e scoperto che si trattava di un bottone in produzione da 10 anni, utilizzato su maglie tipo polo e cardingan, a tre bottoni, sia maschili che femminili.

L’indagine si complica. L’unica certezza che avevano (e che hanno gli inquirenti) è che non apparteneva a Nada.

Il bottone è stato così esibito alla praticante dello studio per capire se potesse appartenere a Marco Soracco. Lei darà risposta negativa e affermerà di non averlo mai visto in abiti diversi da giacca e cravatta. E le sue affermazioni verranno confermate dai sopralluoghi effettuati nella casa del commercialista: nessun cardigan, nessuna polo.

Al contrario, un bottone simile venne sequestrato nella casa di Annalucia Cecere, amica di Soracco.

Ma gli inquirenti commettono un grave errore investigativo. Effettuano la comparazione tra bottoni soltanto tramite le foto effettuate in sede di sopralluogo. A parte le attività per stabilirne la provenienza, inoltre, nessun accertamento tecnico è stato mai eseguito.

Mai fino al 2011, quando si è cercato di indagare sulle tracce eventualmente presenti. Ma la campionatura di DNA risultava Undet, indeterminata, e quindi non comparabile.

Lo scontrino del bar

Lo scontrino rinvenuto era stato rilasciato alle ore 19.58 del 5 maggio da una spaghetteria poco distante dall’omicidio. Ma anche questo ha rappresentato un vicolo cieco. Gli inquirenti scopriranno poco dopo che quello scontrino era stato ritrovato dalla signora Bacchioni sulle scale del condominio e gettato nella spazzatura durante l’attività di pulitura dello studio.

Le quattro telefonate mentre Nada veniva uccisa

Il 6 maggio 1996 la Sig. Di Vaio telefona quattro volte tra le 8.45 e le 9.20 allo studio.  La prima chiamata cade nel vuoto, alla seconda, invece, risponde una voce femminile. Quest'ultima afferma infastidita alla sua interlocutrice che non si trattava dello studio di Marco Soracco.

Al terzo tentativo, effettuato poco dopo il secondo, risponde sempre la stessa voce che, ancor più bruscamente, afferma come la Di Vaio avesse sbagliato numero. La donna, che aveva annotato il numero per ricomporlo, tenta ancora. Alla quarta volta risponde però Marco Soracco che la invita a chiamare in un altro momento perché la segretaria è stata aggredita.

È verosimile credere, alla luce degli ultimi sviluppi, che la Sig. Di Vaio non abbia sbagliato numero. La sua insistenza, al contrario, avrebbe indotto l’assassino a rispondere quando Nada era già agonizzante.

Ma anche qui c’è una falla investigativa. Gli inquirenti non hanno mai acquisito i tabulati telefonici per accertare se la donna avesse veramente composto il numero giusto quella mattina. Trattenendosi di traffico voce, di quei dati avrebbe dovuto trovarsi riscontro presso la Telecom.

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 Il datore di lavoro

Marco Soracco, 34 primavere l’anno dell’omicidio, è il primo a trovare Nada agonizzante e a finire nella lista degli indagati per omicidio volontario. Lui che in passato aveva provato ad avere un approccio sentimentale con la segretaria. Sempre respinto. Ma contro Marco nessuna prova schiacciante. Ed infatti, all’epoca, la sua posizione è stata archiviata.

Le sorelle Bacchioni

Marisa e Fausta Bacchioni sono rispettivamente mamma e zia di Marco Soracco. Due donne che hanno svolto un ruolo centrale nella vita del commercialista guidandolo in ogni decisione della sua vita, anche in quelle relative alla sfera intima. Marisa e Fausta avevano più volte tentato di convincere Nada ad intraprendere una relazione sentimentale con Marco. Ma Nada aveva sempre opposto resistenza.

Annalucia Cecere

Annalucia Cecere, amica di Soracco, è stata indagata pochi giorni dopo il delitto. Sia perché nella sua abitazione erano stati rinvenuti bottoni simili a quello presente sulla scena sia perché alcuni passanti avevano dichiarato di averla vista uscire dalla palazzina nell’immediatezza dell’omicidio.

La donna era finita nell’occhio del ciclone anche perché, dopo aver conosciuto il commercialista in una sala da ballo, si era invaghita di lui al punto da diventarle un’ossessione. Soracco agli occhi della Cecere rappresentava un ascensore sociale, un modo per elevare il proprio status. E Nada, di cui Annalucia voleva presumibilmente prendere il posto anche come impiegata, costituiva sicuramente un ostacolo.

Le nuove indagini

La Procura di Genova ha dato 90 giorni tempo al Prof. Emiliano Giardina, genetista, per analizzare le formazioni pilifere e le tracce di sangue repertate sulla scrivania e sui vestiti nonché per estrarre dagli stessi un profilo genetico utile per la comparazione con quello di Annalucia Cecere.

Nada Cella come Simonetta Cesaroni

Il delitto di Chiavari riporta alla mente quello di via Poma. Nada e Simonetta erano entrambe giovani donne, lavoravano come segreteria, sono state uccise in ufficio ed il loro assassini sono rimasti, almeno sino ad oggi, ignoti. Ignoti come il movente e l’arma del delitto.

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Dottoressa Anna Vagli, giurista, criminologa forense, giornalista- pubblicista, esperta in psicologia investigativa, sopralluogo tecnico sulla scena del crimine e criminal profiling. Certificata come esperta in neuroscienze applicate presso l’Harvard University. Direttore scientifico master in criminologia in partnership con Studio Cataldi e Formazione Giuridica
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