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Chi era Pino Pelosi, l’uomo che si è portato nella tomba il segreto di Pasolini

Il volto di ‘Pelosino’, come lo chiamavano a Roma per il suo aspetto fanciullesco, diventò famoso quando i telegiornali mostrarono la sua foto come quella dell’omicida di Pier Paolo Pasolini. Nei 42 anni trascorsi dal massacro dell’Idroscalo Pino Pelosi ha continuato a ribaltare la verità di quella notte facendone uno dei più grandi misteri italiani. È morto portandosi dietro il segreto della morte dell’ultimo poeta del Novecento. E lasciando aperta la domanda: chi ha ucciso Pasolini?
A cura di Angela Marino
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Pino "la rana" fu ribattezzato al processo l'unico colpevole riconosciuto della morte di Pier Paolo Pasolini, Giuseppe Pelosi, Pino, classe 1959. Lo soprannominò così la stampa, che in quegli anni non risparmiava soprannomi e definizioni poco lusinghieri agli imputati. Aveva sempre gli occhi rossi e gonfi come quelli di una rana, forse per le lacrime o per le botte prese durante gli interrogatori. Anche quella era una cosa che si faceva in quegli anni.

Il volto di ‘Pelosino', come lo chiamavano a Roma per il suo aspetto fanciullesco, diventò famoso quando, diciassettenne, i telegiornali mostrarono la sua foto come quella dell'omicida di Pier Paolo Pasolini. Un ragazzino con la seconda media, mezzo delinquente, abituato a fare la vita, questo era l'uomo che aveva massacrato uno degli ultimi poeti del Novecento. Prima era stato picchiato selvaggiamente con un bastone, poi schiacciato dalle ruote di un'auto che gli era passata sopra spaccandogli le costole e il cuore, e lasciandolo, cadavere e martire, sul selciato dell'idroscalo di Ostia.

Prima dell'omicidio, nel quartiere Setteville di Guidonia, alle porte di Roma, nessuno avrebbe mai pensato a Pino come a un assassino, anzi. ‘Pelosino' era un ragazzetto quasi indifeso di cui a volte gli altri bulletti del quartiere si facevano gioco. Poi, la mattina del 2 novembre 1975, una pattuglia di carabinieri lo aveva fermato mentre correva contromano sul Lungomare Duilio di Ostia, alla guida dell'Alfa grigio metallizzato di proprietà di Pasolini. Lo fermano e lo accusano di furto. In cella Pelosi si vanta con un detenuto di aver ‘ammazzato Pasolini'. I giudici lo interrogano e il diciassettenne ammette di aver cenato con il poeta in una trattoria dopo che questi lo aveva ‘agganciato' alla stazione Termini, noto ritrovo di clienti e baby-prostituti.

I due poi sarebbero andati all'Idroscalo dove, sempre il poeta, avrebbe tentato un approccio sessuale al quale il giovane avrebbe reagito con violenza. Un omicidio colposo, da come lo descrive Pelosi, che involontariamente tira in ballo un'altro giovane, Jhonny lo zingaro, all'anagrafe Giuseppe Mastini, coetaneo, già reo confesso di un omicidio, analfabeta figlio di rom di etnia sinti cresciuto nei sobborghi romani. È suo l'anello trovato accanto al corpo del regista di Mamma Roma, all'Idroscalo. Lo avrebbe regalato tempo prima a Pino il quale quella notte lo avrebbe perso.

Potrebbe essere vero, ma potrebbe anche essere un tentativo di ‘Pelosino' di tenere fuori da quella storia ‘lo Zingaro', per timore di ritorsioni su di sé o sulla propria famiglia o forse in funzione di una strategia difensiva che mirava a escludere il concorso con terzi per evitare aggravanti. L'omicidio doveva essere riportato sul piano morale, perché quel martirio apparisse meno disumano. Dipingere la scena di un ragazzo minorenne adescato da un ricco scrittore omosessuale che voleva avere rapporti con lui, può far chiudere gli occhi ai giudici sulla ferocia che si è abbattuta su quell'uomo indifeso. Ridurre tutto ‘a una storia di froci' sembra avesse detto l'avvocato a Pelosi.

Da qualsiasi lato la si guardi, questa storia, sembra che Pino Pelosi menta sempre. Per interesse, per paura, per abitudine. Lo fa, forse, anche quando l'appuntato, Renzo Sansone, nel corso di una missione sotto copertura negli ambienti criminali romani, scova altri due possibili partecipanti al massacro: Franco e Giuseppe Borsellino. Sono due ragazzi di Catania trapiantati nella Capitale, dove avevano iniziato a delinquere e dove si erano legati al MSI. "Braciola e Bracioletta", come li chiamavano nel loro giro, si erano vantati di aver ucciso Pasolini, anche loro. Ma non c'entrano, secondo Pino. Eppure la ricostruzione della dinamica del delitto presuppone il concorso di terzi: chi sarebbero? Alla fine, nel 1979, Pelosi viene condannato a 9 anni di carcere per omicidio volontario. Lascia il carcere nel 1985. Ricomincia a delinquere, ma non solo.

Nel 2011 scrive un'autobiografia intitolata Io so… come hanno ucciso Pasolini, in collaborazione con l'avvocato Alessandro Olivieri e il regista Federico Bruno. Partecipa, pagato, alla trasmissione ‘Ombre sul giallo', dove racconta che furono in tre a uccidere il poeta, tre persone dall'accento siciliano. Perché non ha parlato prima? Per paura, ma ora i killer sono morti di morte naturale. Franco e Giuseppe Borsellino, che sembrano aderire ai personaggi di questa nuova versione sono morti di AIDS nel 1990.

Entra ed esce di prigione fino alla morte, arrivata a 59 anni, per un cancro ai polmoni. Nella tomba si porta il segreto della notte di Ostia, quando l'Italia rimase orfana di uno dei più grandi intellettuali del Novecento. Tutti i personaggi della storia di Pelosi sono morti, eccetto uno, Johnny lo zingaro, forse l'unico a conoscere almeno una parte di questa storia.

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