Chi era Giorgiana Masi: uccisa il 12 maggio 1977 a 18 anni, mai trovati i colpevoli
Quando Giorgiana Masi si accascia a terra, lungo una strada del lungotevere romano, sono quasi le 8 di sera del 12 maggio 1977: giorno di scontri, cariche della polizia, lacrimogeni e spari di armi da fuoco verso i manifestanti che stavano celebrando il terzo anniversario della vittoria del referendum sul divorzio. Giorgiana è tra i giovani che riempiono le strade di Roma e sta cercando, come molti altri, un rifugio dalla pioggia di candelotti lacrimogeni provenienti dal cielo. All'improvviso da Ponte Garibaldi – dove si trovano i reparti della polizia – parte una sequenza di colpi: alcuni proiettili feriscono alla gamba una ragazza. Poco dopo, raggiungono anche Giorgiana Masi alla schiena: 18 anni, studentessa di liceo.
Racconta Paola Staccioli in "101 donne che hanno fatto grande Roma" (Newton Compton): "I suoi compagni la sollevano, la portano al riparo, la sentono mormorare ‘Oddio che male'. Credono abbia inciampato. Non si vede sangue. Quando la mettono a terra ha gli occhi sbarrati, il corpo rigido. Una crisi epilettica, pensano. Interviene un medico ma in mezzo al putiferio non sa che fare. Caricata su una macchina, Giorgiana arriva in ospedale già morta. Centrata alla schiena da un proiettile".
La manifestazione di quel 12 maggio era stata vietata, ma il partito Radicale e la sinistra antagonista decisero comunque di effettuare un sit-in. Il 1977 fu l'anno della grande rivolta: molti diritti erano stati conquistati, e molti altri venivano rivendicati con forza. Si raccoglievano le firme per otto referendum e i giovani di sinistra quotidianamente spingevano per costruire un mondo di "liberi ed uguali". Il 12 maggio in piazza scesero migliaia di persone: studenti, femministe, lavoratori. Dall'altra parte, lo Stato rispose con la polizia, creando un'atmosfera incandescente, un clima in cui lo scontro divenne inevitabile. Agenti in borghese si infiltrarono tra i manifestanti, travestiti da "autonomi" ma con il distintivo nascosto in una tasca. Decine di persone vengono fermate, identificate e picchiate: anche fotografi, giornalisti e alcuni deputati. Intanto sulle strade si alzano improvvisate barricate, si lanciano molotov, e dall'altra parte si risponde con manganelli, lacrimogeni e pistole cariche.
E' in questo clima che Giorgiana Masi venne uccisa. L'indomani, riferendo in Parlamento, Cossiga elogiò il "grande senso di prudenza e moderazione delle forze dell'ordine". Fortunatamente però il Partito Radicale effettua un puntuale lavoro di ricostruzione dei fatti. Numerose testimonianze, e soprattutto inequivocabili foto e filmati riprendono agenti armati, in divisa e in borghese, mentre puntano armi da fuoco o sparano contro i manifestanti. Cossiga è costretto ad ammettere la presenza di squadre speciali, ma come tante altre volte è accaduto, anche per l'omicidio della giovane studentessa non si troveranno mai i responsabili: nel 1981 l'inchiesta viene archiviata, "per essere rimasti ignoti i responsabili del reato". Successivamente Giovanni Pellegrino, presidente della Commissione Stragi, affermò come "quel giorno ci possa essere stato un atto di strategia della tensione, un omicidio deliberato per far precipitare una situazione e determinare una soluzione involutiva dell'ordine democratico, quasi un tentativo di anticipare un risultato al quale per via completamente diversa si arrivò nel 1992-1993". In un'intervista rilasciata nel 2007, l'allora ministro degli interni Francesco Cossiga dichiarò di essere tra le cinque persone che sanno chi uccise Giorgiana Masi.