Chi è Leoluca Bagarella e dove si trova oggi il boss protagonista de “La Mafia Uccide D’Estate”
Leoluca Bagarella detto ‘Don Luchino', affiliato al clan dei Corleonesi, dagli anni Settanta e fino al 1995 (anno del suo arresto) si è reso protagonista di decine di efferati delitti, tra i quali la Strage di Capaci (nella quale dove morirono Giovanni Falcone la moglie e gli agenti della scorta), l'assassinio del capo della Squadra Mobile di Palermo Boris Giuliano e l'omicidio del piccolo Giuseppe Di Matteo, sciolto nell'acido per punire il padre che si era pentito.
Nato proprio a Corleone 82 anni fa da una famiglia di mafiosi, non si è mai discostato dall'ambiente criminale entrando a fare parte di Cosa Nostra da giovanissimo. È attualmente rinchiuso nel carcere di Bancali a Sassari, dove sta scontando 13 ergastoli.
Chi è Leoluca Biagio Bagarella, conosciuto come Don Luchino
Leoluca Biagio Bagarella nasce il 3 febbraio del 1942 nel comune siciliano diventato noto per aver dato i natali ad alcuni banditi e mafiosi. Quarto figlio di Salvatore Bagarella e fratello di Ninetta Bagarella (vedova di Totò Riina), ben presto diventa uno dei fedelissimi della ‘primula rossa di Corleone' Luciano Liggio, dello stesso Riina e di Bernardo Provenzano.
Da quel momento in poi sarà annoverato tra gli irriducibili dell’ala stragista di Cosa Nostra. Suoi gli omicidi, tra gli altri del colonnello dei carabinieri Giuseppe Russo nel '77 e del vice questore Boris Giuliano, capo della Squadra mobile che stava indagando su di lui, nel '79.
Il suo legame con Cosa Nostra non si spezza neanche con l'omicidio dei suoi due fratelli nelle guerre di mafia. Ma soprattutto neanche con la fine della moglie Vincenzina, che visti smarriti i suoi desideri di madre (con due aborti spontanei) si uccide con una corda al collo, per infelicità.
L'attività mafiosa legata a Cosa Nostra e l'affiliazione con i Corleonesi
Arrestato già negli anni Settanta dopo una latitanza, Bagarella viene scarcerato nel 1990. Questi sono gli anni nei quali la sua carriera criminale legata a Cosa Nostra tocca punti tanto alti quanto meschini. In particolare dal '92 quando, dopo l’arresto di Totò Riina, prende il comando della fazione stragista.
È uno dei responsabili dell'uccisione dell’esattore Ignazio Salvo e di quella del boss mafioso Alcamo Vincenzo Milazzo insieme compagna Antonella Bonomo, incinta di 3 mesi. Nel 1993, è tra i mandanti della Strage di Capaci, nel 1995 uccide Domenico Buscetta, nipote del noto collaboratore di giustizia e, nel 1996, insieme a Messina Denaro, Gravino e Brusca rapisce Giuseppe Di Matteo, figlio del pentito Santino Di Matteo. Il bambino morirà dopo 799 giorni di prigionia, strangolato e sciolto nell’acido.
L'arresto e la condanna ai tredici ergastoli
Bagarella viene arrestato definitivamente dalla DIA il 24 giugno 1995, scovato grazie anche a un’imbeccata del pentito Tullio Cannella che suggerì di seguire le mosse del suo ‘autista' Tony Calvaruso.
Da quel momento, viene trasferito nel carcere de L’Aquila, al regime del 41 bis, e arrivano ben 13 condanne all’ergastolo per i vari omicidi compiuti nel corso di un ventennio.
L'ultima condanna è quella a 28 anni di carcere nel 2018 per “concorso esterno in associazione mafiosa” e “violenza o minaccia a corpo politico dello Stato” nell’ambito dell’indagine sulla trattativa Stato-Mafia.
Che fine ha fatto Bagarella e dove si trova oggi
Attualmente Leoluca Bagarella sta scontando il fine pena mai nel carcere di Bancali, in provincia di Sassari.
Il mafioso non solo non si è mai pentito ma non ha mai voluto collaborare con la giustizia rimanendo tra i pochi boss in regime di cosiddetto ergastolo ostativo. Proprio il carcere duro del 41 bis, secondo gli inquirenti potrebbe essere il movente dietro al gesto eclatante nel 2020 di mordere l'orecchio di un agente mentre era in corso un collegamento con un Tribunale per uno dei numerosi processi in cui risultava imputato.
"A mio avviso si tratta solo di un gesto per attirare l'attenzione sulla questione dell'abolizione del 41 bis, un'abolizione di cui si parla tanto. Non vedo nessun'altra ragione se non quella di attirare l'attenzione sulla questione del 41 bis” ha spiegato il segretario generale del Sindacato di polizia penitenziaria, Aldo di Giacomo.
Del resto Bagarella, nel corso di un'udienza alla quale partecipava in videoconferenza aveva letto un comunicato di protesta contro il sistema del carcere duro, prendendo di mira il mondo politico.