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Omicidio Chiara Gualzetti a Monteveglio

Chi è il killer di Chiara Gualzetti e cosa vuol dire che è un narcisista maligno

L’assassino di Chiara Gualzetti, la 15enne uccisa a coltellate nel Bolognese la scorsa settimana non può scomodare alcun tipo di alibi. Nessuna patologia psichiatrica, soltanto smodato narcisismo, mancanza di empatia e crudeltà umana. Ecco chi il killer della ragazza e perché il suo profilo è quello che si difinisce del “narcisista maligno”.
Di Anna Vagli
Giurista, Criminologa Investigativa e Giornalista.
A cura di Anna Vagli
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Il ragazzo che ha ucciso Chiara Gualzetti a Monteveglio è minorenne e la legge lo tutela con la pretesa dell’anonimato. Ma, poiché non è possibile scrivere di crudeltà umana in modo gentile, non lo chiameremo amico. Al contrario, lo definiremo assassino. I coetanei, gli altri, che l’hanno incontrato dopo l’estremo gesto, lo descrivono come irrequieto. Le immagini del prima, con Chiara, lo vedono avanzare con il passo del capo branco. Lui davanti, lei indietro di qualche passo. Le sensazioni sono opposte: lei verso di lui, lui contro di lei. Lui nauseato, lei invaghita. Lei pensa ad un bacio, lui al coltello che ha nello zainetto. Lei l’abbraccia, lui la colpisce.

Se fosse sufficiente un telefilm o dei genitori separati per riconoscere l’infermità mentale, saremmo tutti considerati patologici. E questo è un concetto che il GIP del Tribunale per i Minorenni ha ben compreso nel riconoscere la totale capacità di intendere e di volere del ragazzo. Richiesta avanzata dalla difesa del ragazzo e alla quale, peraltro, alcuna opposizione è stata mossa dai legali della famiglia di Chiara. “Sono state delle voci a dirmi di ucciderla”. No, non sembrerebbe così. Nessun demone. Nessuna voce. Nessuna forza paranormale, nessuna patologia psichiatrica lo ha guidato nel suo folle gesto. La sua volontà omicida appare oggi chiara, lucida, inamovibile e premeditata.

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Chi ha tolto la vita a Chiara è un killer con profilo del narcisista patologico maligno: egocentrato e alla ricerca costante di ammirazione altrui. La parola chiave qui è “diritto”. Diritto automatico ad essere trattati bene, a prescindere dal modo in si cui trattano gli altri. Senza segni di pentimento per quanto accaduto, si è presentato dai carabinieri con le lenti a contatto rosse dimostrando, come i manipolatori per eccellenza, di concepire sé stesso come un re dotato di uno spropositato senso di potere. Come se nulla e nessuno avesse importanza al di fuori di lui. Come se i carabinieri fossero stati lì per essere il suo pubblico, per ascoltare quanto fosse stato grande. Per questo ha indossato quelle lenti. Per non correre il rischio che non gli venisse prestata abbastanza attenzione. Come se spezzare la vita di una coetanea con una tempesta di coltellate non fosse sufficiente.

Si è posto su di un piedistallo al punto da ritenere che Chiara non potesse morire senza il suo contributo. E lo ha dimostrato rispondendo al messaggio in cui lei scriveva “Se mi uccidessi non mancherei a nessuno” con la frase “Ti do una mano io, se proprio vuoi”. Il killer ha scelto una preda sulla quale poteva lavorare senza particolare sforzo: Chiara era già stata vittima di bullismo, quindi rappresentava un soggetto potenzialmente più semplice da disprezzare nei sentimenti. Il bersaglio ideale per riempire la sua fama omicida. “Con qualcuno dovevo farlo. Ho scelto lei perché mi stava sempre addosso. Mi aveva scocciato. Non la sopportavo più. Mi stancava”.

Il killer, freddo e imprevedibile, ha visto nella quindicenne uno strumento attraverso cui esercitare la propria volontà: quella di ucciderla. Ancora. Il quadro generale della sua vita denota la mancata affermazione della propria personalità nelle relazioni sociali. Il killer cercava credito e consenso nel gruppo dei pari e sui social. Un consenso che riteneva meritevole di ricevere e di avere, ma che in concreto non è mai arrivato. Questo è il motivo che lo ha indotto a mandare un messaggio vocale all’amica per celebrare quello che aveva fatto.

La colpa di Chiara? Quella di essersi innamorata di lui. Un torto intollerabile, subìto e inaccettato. Una sola certezza. Sebbene gli eccessi del male spesso risiedano nel campo del non indagabile, Chiara è stata uccisa da un soggetto pienamente capace di intendere e di volere, che ha programmato nel dettaglio quanto commesso e che si è imposto fragorosamente come protagonista al centro della sinistra scena. Non sottacibile, a questo punto, è però anche l’esigenza di argomentare su un eventuale evitabilità di un delitto così efferato. Chiara poteva essere salvata?

Certo è che gli scatti di rabbia che il ragazzo aveva mostrato in famiglia avevano determinato i genitori a rivolgersi ad un professionista. In quest’ottica, però, resta incontrovertibile il dato per il quale nessuno, fino al giorno dell’omicidio, aveva compreso il disagio emotivo che l’adolescente stava attraversando. Dunque, per chiarire la sua posizione ed escludere che abbia avuto a sua volta un passato di violenza, sarà necessario attendere l’esito della perizia psichiatrica. Ovviamente, qualora la relativa richiesta venga accolta dai magistrati. Alla fine, quel che appare auspicabile, è che l’omicidio di una ragazza con tutta la vita davanti non venga relegato ad una brutta pagina di cronaca, una delle tante estive, una di quelle che si scordano dopo qualche giorno, quando non se ne parla più. Chiara aveva solo 15 anni.

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