E' stato riconosciuto dalla vittima lo stupratore della quindicenne barese, in vacanza a Roma da un'amica. Si chiama Giuseppe Franco, ha 31 anni, è un militare di professione che sarebbe partito il giorno dopo per una missione. Aveva una bicicletta che ha legato a un palo e mandarla a riprendere dal fratello l'avrebbe dunque tradito. Si sarebbe finto poliziotto per ottenere il consenso della ragazza a seguirlo. E, chiariamo: è italiano, bianco, e cattolico.
E allora? Procediamo con la “castrazione chimica” evocata dalla rete e dalla politica e dalle reazioni corali. Quando non si è capaci, si taglia, si nasconde, si chiude nell'armadio, si nasconde sotto al tappeto, nel cassetto aspettando il prossimo. Al di là delle specificazione etnica e religiosa, sbagliata sempre perché non aggiunge nulla all'informazione e all' attribuzione di responsabilità sia che si tratti di un italiano che uno straniero, ci sono alcune cose che si allineano immediatamente a seguito delle reazioni a questa notizia, i cui contorni sono peraltro tutti da chiarire e precisare.
La prima è appunto culturale: lo scollamento totale tra la realtà delle cose e la dimensione della “colpa” che ancora oggi, in un modo o nell'altro grava sulla vittima dello stupro. Così, un'opinione pubblica sempre più confusa sul piano della morale, delle responsabilità e del pericolo è diventata la musica sorda funzionale alla cultura dello stupratore.
“Cosa ci fa una ragazzina di quindici anni in giro per Roma, la sera?”.
Si lanciano in molti a commentare, non senza aver dato delle prostitute al gruppetto di amiche uscite per vedere i fuochi d'artificio per la festa di San Pietro e Paolo. E poi:
“Perché i genitori non le controllano?” Ovvero: “Perché i genitori non fanno i poliziotti?”.
Quindi la reazione immediata è che la famiglia non controlla, come se il controllo poliziesco fosse la soluzione. Oltre al fatto che Roma la sera è strapiena di adolescenti anche più piccole che si incontrano nei bar. E questo da diversi anni ormai. Non vederlo, vuol dire non vivere in questo mondo.
Per convincere la ragazza assieme a delle amiche, il militare in forza presso l'Arsenale della Marina italiana, si sarebbe finto dunque un poliziotto moralizzatore, né più e né meno di quelli che gridano “Roma fa schifo”, “ruspa”, “il degrado di Roma”, “il problema sicurezza” e che invocano controllo e polizia. Uno come Giuseppe Franco è il prodotto perfetto di questa mentalità che accusa le vittime per poi approfittarsene.
Le reazioni immediate non sono state:
“Come è possibile che un militare, dipendente della Marina italiana – per usare un linguaggio leghista– pagato con i nostri soldi, sia così educato male e deviato da sentirsi autorizzato a stuprare ragazzine?”
Sempre sulla stessa linea è chi a vario titolo sta chiedendo “la castrazione chimica”, come se questa evirazione incruenta, questa amputazione ideale di un pezzo di corpo ritenuto “la causa” rimettesse a posto una mentalità, e risolvesse le inibizioni che un uomo adulto in un paese civile deve aver introiettato per cultura e educazione. Come se poi la castrazione fosse la soluzione esemplare alla mentalità degli stupratori che si nutre precisamente di soluzioni così. Salvini in testa che in un solo tweet ha fuso “castrazione chimica” e la parola “razza” (è l'unico in Europa cui è permesso esprimersi così: bisognerebbe dunque “tagliargli la lingua?”). Insomma chi taglierebbe, chi chiuderebbe, chi ammazzerebbe, chi castrerebbe. Tutti in un coro stonato contro il mostro. L'orco. E invece non è affatto estraneo a loro. E' proprio uno come loro passato all'azione, imbevuto di mentalità in cui morale rima con controllo, educazione con castrazione, senso del limite sì ma solo per gli altri, sopraffazione del più debole e così via.
Non è mancato il sempreverde “degrado di Roma” che proprio non c'entra con uno che si è finto poliziotto in un quartiere più che borghese. E no, non è stata una questione né di degrado né di sicurezza. E' proprio una questione crescente di mentalità malate che si allineano meravigliosamente con i tweet dei politici peraltro speculari ai commenti in rete.
Ovviamente non si può non menzionare, ma è perfino banale dirlo, come sarebbe cambiata la comunicazione complessiva e l'approccio se si fosse trattato di un immigrato: sarebbe diventato un' altra variante razzista e maschilista “gli immigrati che stuprano le nostre donne” come diceva il leghista Cota già diversi anni fa, inanellando razzismo e possesso della donna (che è quello della mentalità dello stupratore) in una frase sola.
In realtà, siamo solo nella norma dell'indecenza. La maggior parte degli stupri, come da statistica del ministero degli Interni non solo è di italiani, ma avviene peraltro tra le mura domestiche. In famiglia insomma, quella tradizionale che si è celebrata in piazza San Giovanni a Roma.
Tuttavia un dato estremamente positivo va sottolineato. Se confermata la descrizione del quotidiano il Messaggero e la verità dei fatti la ragazza non solo ha denunciato tutto e subito, al contrario di ciò che suggerirebbe la cultura della “colpa” della vittima, ma pare che le amiche e la madre di una di loro si siano poi lanciate in rumoroso inseguimento dello stupratore in fuga. Sarà durissima per questa giovane donna dover rimediare nel corso della vita al trauma, ma in quell'inseguimento e con la denuncia immediata si trova la differenza dei tempi. L'immagine perennemente proposta dai media della donna con l'occhio nero, raggomitolata dopo la violenza, starebbe cambiando nei fatti. Le giovani donne sono molto più avanti della politica, della mentalità comune, del main stream. Un trauma potrà essere trasformato in una medicina portentosa. Per tutte.