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Charamsa scrive a Papa Francesco: “Gay perseguitati dalla Chiesa”

Krzysztof Charamsa, sacerdote e teologo polacco diventato “famoso” per aver annunciato di essere gay e di avere un compagno, ha inviato una lettera a Papa Francesco per dire che la Chiesa rende la vita delle persone omosessuali un inferno.
A cura di Susanna Picone
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Monsignor Krzysztof Charamsa, il teologo vaticano della Congregazione per la Dottrina della Fede sospeso dal sacerdozio subito dopo aver fatto coming out e aver affermato di avere un compagno, nel giorno del suo “annuncio” ha inviato una lettera a Papa Francesco per spiegare le ragioni della sua decisione di dichiararsi omosessuale e per criticare la Chiesa che renderebbe la vita dei gay un “inferno”. Charamsa, polacco di 43 anni, nella lettera di cui scrive la BBC ha criticato appunto la “persecuzione” dei gay nella Chiesa cattolica e ha spiegato di aver deciso “dopo un lungo periodo di discernimento e preghiera” di “denunciare pubblicamente la violenza della Chiesa nei confronti delle persone omosessuali, lesbiche, bisessuali, transessuali e intersex”. Monsignor Charamsa, che ora vive all’estero con il suo compagno già presentato ai giornalisti a Roma, ha scritto dunque di non poter sopportare ulteriormente “l’odio omofobico della Chiesa, l’esclusione, la marginalizzazione e stigmatizzazione delle persone come me”. Ha inoltre chiesto a tutti i cardinali, vescovi e preti gay di avere il coraggio di abbandonare una “chiesa insensibile, ingiusta e brutale”.

Nella lettera avrebbe poi continuato a ringraziare Papa Francesco, che avrebbe un atteggiamento più indulgente nei confronti dei gay rispetto ai suoi predecessori, aggiungendo però che le sue parole saranno utili solo quando verranno ritirate tutte le dichiarazioni del Vaticano offensive e violente nei confronti delle persone omosessuali. Dopo il coming out Charamsa era stato immediatamente rimosso dai sui ruoli in Vaticano. “La scelta di operare una manifestazione così clamorosa alla vigilia del Sinodo appare molto grave e non responsabile, poiché mira a sottoporre l'assemblea sinodale a una indebita oppressione mediatica”, aveva commentato la Santa Sede.

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