“Cerchiamo il pezzo mancante della nostra vita”: i figli di madre segreta e quella legge ferma al 1983
"Volevo conoscere chi mi aveva messa al mondo e perché non mi avesse riconosciuta. Non per colpevolizzare la mia ‘mamma dei 9 mesi‘, ma per riuscire ad avere quel pezzetto mancante con cui comincia il percorso di noi figli nati da parto in anonimato e che molti sentono il desiderio di acquisire per poter completare il puzzle che è la loro vita".
In occasione della Giornata mondiale dell'adozione, che ricorre oggi, 9 novembre, Maria Pia ha raccontato così a Fanpage.it la sua storia di figlia adottiva, nata da parto in anonimato, che all'età di 57 anni è riuscita a conoscere il nome di sua madre, purtroppo deceduta tempo prima.
Maria Pia collabora con il Comitato per il Diritto alle Origini Biologiche che da anni si batte per una modifica alla legge sull'adozione del 1983. Nella norma il comma 7 dell'articolo 28 impedisce ai figli adottivi non riconosciuti alla nascita di avere informazioni sulle proprie origini biologiche. Con il decreto legislativo 196/2003, invece, all'art. 93, è stato stabilito che tali dati possano essere rilasciati ma solo al compimento del 100esimo anno di età del nascituro.
Nel 2013 una sentenza della Consulta ha ritenuto parzialmente incostituzionale queste disposizioni e aperto uno spiraglio, permettendo ai figli nati da madre segreta di poter presentare, al compimento dei 25 anni, un'istanza presso il Tribunale dei minori di residenza nel caso volessero richiedere informazioni sulle loro origini.
Una ricerca che tuttavia, proprio in assenza di una legge aggiornata, dipende dalle decisioni dei singoli tribunali e non sempre ha esito positivo.
Nel 2022 è stata presentata in Commissione Giustizia una nuova proposta di legge per aggiornare le disposizioni in materia, che cerca di bilanciare il diritto della madre di mantenere l'anonimato, per rispettare questa scelta e non scoraggiare le donne a farla, e il diritto del figlio adottivo di conoscere la propria identità o, perlomeno, di venire in possesso di dati sanitari essenziali per tutelare la propria salute.
Il disegno porta la firma dall'onorevole Gianpiero Zinzi e di altri 38 deputati di tutto l'arco parlamentare. A distanza di due anni però è ancora in attesa di essere calendarizzato. La Presidente del Comitato, Anna Arecchia, ci ha spiegato perché è importante che non venga dimenticato.
La storia di Maria Pia: "Ho scoperto chi è la mia ‘mamma dei 9 mesi' e ho ritrovato la mia identità"
"Mi sono iscritta a Facebook nel 2008 per cercare la mia madre biologica, che io chiamo "la mamma dei 9 mesi", perché è solo quello il periodo in cui siamo state insieme, poi lei ha fatto la sua scelta – inizia a raccontare Maria Pia, 63 anni – "Io sono stata una bambina felice, sono stata accolta in una famiglia stupenda che mi ha amata e che io ho amato, fino a quando i miei genitori sono venuti a mancare. È l'unica famiglia che io riconosco come tale".
"Ma c'era questo desiderio di conoscere la donna che mi aveva messa al mondo e, se possibile, anche i motivi della sua scelta. Ovviamente, non per colpevolizzarla, ma per riuscire ad avere quel pezzetto mancante con cui comincia il percorso dei figli adottivi e che sentiamo il desiderio di acquisire per poter completare il puzzle che è la nostra vita. È una questione di identità, del suo completamento", aggiunge.
Nel 2018, dopo la sentenza della Corte Costituzionale del 2013, Maria Pia decide di presentare istanza. A giugno del 2019, riesce a conoscere il nome di sua madre, che purtroppo era deceduta da diversi anni. "È stata un'emozione grandissima. Leggere il suo nome ha fatto il suo effetto e allo stesso tempo mi ha dato una grandissima serenità perché sapevo chi era e io avevo ritrovato la mia identità", racconta ancora.
"Lo stesso pomeriggio mi sono attivata e ho scoperto dove era stata tumulata. Poi su Facebook ho cercato le persone con il suo stesso cognome per capire se potevo trovare altri parenti della famiglia. Ho scritto senza inizialmente specificare chi ero, ho preferito essere delicata, e ho detto solo che volevo parlare con loro. Infatti, come ho scoperto solo in seguito, nessuno sapeva della mia esistenza", ricorda Maria Pia.
"Dopo una settimana una persona mi ha contattato, era mio fratello. Mi sono sentita felicissima, anche se per lui e gli altri della famiglia chiaramente all'inizio è stata una cosa che li ha colti di sorpresa. Dopo alcune telefonate, ci siamo incontrati ed è stata una bellissima giornata. Siamo andati tutti insieme al cimitero a trovare la mia "mamma dei 9 mesi", ero circondata dalla mia famiglia. E da allora ci sono stati altri incontri".
A chiunque abbia questo desiderio, Maria Pia dice di presentare l'istanza. "Bisogna almeno provarci. – spiega – Noi figli adottivi non siamo in cerca di una famiglia, ma vogliamo completare la nostra identità e scoprire le motivazioni di questa scelta".
"Mi auguro che questa legge cambi perché, a distanza di anni, ci sono persone che ancora stanno aspettando delle risposte e altre che, purtroppo, sono morte nell'attesa, senza averne mai. È una cosa che mi fa molta rabbia e tristezza, senza una legge spetta ai singoli tribunali decidere su questo e non è giusto".
La presidente Arecchia: "C'è bisogno di una legge dello Stato"
"Noi, come Comitato, ci siamo costituiti nel 2008 e già all'epoca avevamo cercato di far passare una proposta di legge sul tema. Non abbiamo mai guardato al colore politico di chi poteva aiutarci a presentare questa riforma, perché abbiamo sempre pensato che fosse un tema da affrontare in maniera trasversale e non ideologica", ci ha spiegato Anna Arecchia, presidente del Comitato per il Diritto alle Origini Biologiche.
"Nel 2015 siamo riusciti a far passare alla Camera una seconda proposta, votata quasi all'unanimità, ma che, senza il voto del Senato, era decaduta con la fine della legislatura", racconta ancora.
Il Comitato però non si è arreso ed è riuscito a fare presentare in Commissione Giustizia un'altra proposta durante la scorsa legislatura. Ma, con il sopraggiungere della pandemia di Covid, anche questo progetto non è andato in porto.
"In tutti questi anni migliaia di persone hanno scritto al Comitato per chiedere come comportarsi e in questo modo abbiamo avuto modo di raccogliere tutte le criticità avvenute nei singoli Tribunali per i minori. Questi procedono in base alle indicazioni della Corte Costituzionale, ma in modo molto personalizzato", spiega Arecchia.
"Il disegno attualmente fermo in Commissione Giustizia è davvero completo, forse il migliore che abbiamo presentato", aggiunge. "Tra gli aspetti che abbiamo molto curato, c'è anche quello sanitario. Anche io sono stata adottata e alcuni anni fa ho scoperto di avere una patologia molto grave per cui avevo bisogno di un trapianto di midollo consanguineo. È successo prima della sentenza della Corte Costituzionale, quindi l'accesso alle origini mi era stato negato".
"Nel nostro disegno si dice che, anche nel caso in cui la madre biologica non volesse togliere l'anonimato, il Tribunale debba fornire i dati sanitari suoi e, nel caso li conoscesse, anche quelli del padre. Oggi infatti non è assolutamente obbligato a richiedere e dare all'adottato questo tipo di informazioni".
"Al momento infatti il diritto alla salute di un adottato non c'è. – precisa la presidente – Come si può fare prevenzione se non si conosce la familiarità? Uno non può fare prevenzione su tutte le malattie del mondo. Noi davvero siamo una categoria a parte in questo senso".
Secondo quanto ci spiega la presidente, sono migliaia le persone che cercano di ottenere l'accesso alle proprie origini biologiche. Una ricerca dell’Istituto degli Innocenti, condotta in 25 dei 29 Tribunali per i minorenni negli anni 2012-2014 e 2015-2017, ha messo in evidenza un aumento del 38% del numero delle richieste di accesso alle informazioni sulle origini biologiche da parte di adulti adottati. Per un totale di 1496 richieste di accesso.
E grazie alla sentenza della Corte Costituzionale qualcosa è cambiato. Ma, pur essendo un precedente importante, la ‘legge dei 100 anni' resta il riferimento e l'Italia rimane il fanalino di coda nella tutela dei figli adottati.
"A volte i figli provano un senso di colpa nei confronti della famiglia adottiva ma il nostro essere figli a tutti gli effetti e la nostra ricerca delle origini come diritto alla nostra identità sono due cose differenti. L'obiettivo è venire a conoscenza di chi siamo. E purtroppo un po' questo senso di colpa lo abbiamo pagato in tutti questi anni. Per questo non se ne parla ed è stato così difficile portare avanti questa battaglia".
Dopo più di 10 anni, forse è giunto il momento che le cose cambino. "Io faccio un appello alla Commissione Giustizia per calendarizzare la proposta. – conclude Arecchia – Altrimenti, tutti gli sforzi fatti in questi anni rischiano di restare vani. C'è bisogno di una legge dello Stato".
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