Centinaia di donne raccontano gli abusi: “Violentata mentre dormivo ubriaca, pensavo fosse colpa mia”
È un fenomeno strano, una trama che si ripresenta identica. Si arriva a un punto nel percorso di crescita di ogni ragazza in cui semplicemente ci si confronta, tra amiche. E quella che sembrava una condizione isolata, esperienze vissute e non raccontabili perché "chissà poi cosa ne pensano gli altri se scoprono che mi è successa una cosa del genere" si trasformano all'improvviso in un terreno comune su cui riflettere, in avvenimenti a propria insaputa condivisi, in condizioni non solo non esattamente rare, ma anzi tristemente diffuse. In quegli scambi di racconti e ricordi dolorosi di molestie e violenze, catcalling e discriminazioni quotidiane, ci si conosce e riconosce ogni volta. E il senso di condivisione, quell'essere tutte sulla stessa barca, produce un iniziale, inevitabile senso di sollievo: "Non sono solo io allora, non è colpa mia che faccio qualcosa di sbagliato". Ma questa sorta di leggerezza non è destinata a durare a lungo, sostituita da una consapevolezza che fa ribollire il sangue nelle vene: è una costante, questa la realtà. La quasi totalità del genere femminile, su scala mondiale, subisce o ha subito molestie, violenze o aggressioni sessuali almeno una volta nella vita. E, se ce ne fosse bisogno, i dati confermano le cifre da spavento.
È nei giorni come questi – nei giorni dove i femminicidi si susseguono e non c'è tempo di piangere una donna uccisa, generalmente per mano del partner o ex marito, che già compare un nuovo nome sulle labbra di chi organizza fiaccolate, che già si allunga la lista di settantacinque nomi di cui l'ultimo risale solo a pochi giorni fa ed è quello di Vera Schiopu – che una riflessione sul tema è più che mai necessaria. L'attenzione è alta, i discorsi su molestie e violenze di genere si intensificano, le pagine dei giornali ne sono piene e arrivano nei salotti delle case attraverso la tv. L'uccisione di Sofia Castelli per mano dell'ex, lo stupro di Palermo e le agghiaccianti chat, il femminicidio di Anna Scala: non possono restare episodi isolati, casi di "poche sfortunate" che hanno subito un destino ingiusto. Perché riguarda tutte, tristemente. Ed è giusto che si sappia, per le donne così come per gli uomini, affinché non possano più voltarsi dall'altra parte accontentandosi del "ma io non l'ho mai fatto" per richiedere il pass del buon alleato. Perché sarà pure "Not all men", ma di sicuro quasi tutte le donne hanno subito molestie sessuali: quindi sì, "Yes, all women".
Questa è la tesi di Carolina Capria, scrittrice e sceneggiatrice italiana nonché attivista femminista conosciuta su Instagram per la sua seguitissima pagina "L’ha scritto una femmina". Capria da giorni sta svolgendo un lavoro estremamente doloroso quanto importante: raccoglie le testimonianze di molestie e abusi che le arrivano tramite messaggio e le pubblica in anonimo. Una valanga di storie: variano i posti e i soggetti, i giorni della settimana e le modalità, ma la realtà è che si tratta di un fenomeno sociale e culturale pervasivo, che ha impatto talmente profondo su una parte così ampia della popolazione da non poter essere ignorato un attimo di più. E trovarsi a contatto con centinaia e centinaia di racconti di molestie non avrà il potere di rendere tutti miracolosamente empatici, ma almeno "proverà" con le statistiche, sempre che ce ne fosse il bisogno, l'urgenza di trovare una soluzione, di invertire rotta.
Il lavoro di Capria, ripreso da Cosmopolitan, è cominciato qualche giorno fa: "Io non ho mai conosciuto una donna che non avesse subito molestie – il commento su Instagram agli ultimi fatti di cronaca – "Ci sono due mondi che non comunicano, quello delle donne che subiscono le molestie e quello degli uomini che prendono le distanze". Da quel giorno la scrittrice ha cominciato a ricevere migliaia di messaggi, tutti riuniti sotto l'hashtag #yesallwomen. Lei li ricondivide, offrendo la sua visibilità per far sì che questi possano raggiungere il numero massimo di persone possibile. A noi tutte e tutti il compito di leggerli, sentirli, eventualmente risvegliare ricordi dolorosi, farci carico del problema.
"Non ne ho mai parlato con nessuno": così cominciano molti racconti. Storie crude, che fanno male, di ragazze al tempo non consapevoli o donne molestate sul posto di lavoro. Ricattate, umiliate, colpevolizzate. Istruttori di guida che allungano le mani, ginecologi che abusano delle pazienti, violenze nelle discoteche o di sera di ritorno verso casa. E genitori che sminuiscono, denunce inutili o evitate per paura di un "ma tu com'eri vestita?" o "dovresti smettere di bere". Storie troppo spesso non raccontate per paura di passare per "esagerata" se non direttamente colpevole.
Cambiano così tante variabili in queste vicende, ma resta la spaventosa costante: si tratta di un fenomeno sociale e radicato. "Quello che dobbiamo fare adesso, approfittando dell'attenzione e delle luci puntate – sottolinea Capria – è ribadire che non ci sono mostri, ma uomini educati a identificare la mascolinità con la violenza e la sopraffazione del femminile, e non ci sono vittime che meritano ascolto e altre che potevano stare attente. La violenza di genere non è un'anomalia del sistema, la violenza di genere è il sistema". Così che l'abbraccio virtuale che ci stiamo scambiando in queste ore possa avere conseguenze ancor più durature, affinché non ci sia più bisogno in futuro di dover specificare che "Sorella, io ti credo".