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Catania, genitori e figli giocano a calcio in carcere: “Spazi di umanità per i detenuti”

Dall’inizio di giugno si tengono, in 82 carceri, le “partite con papà”. Un evento organizzato da Bambinisenzasbarre con il ministero della Giustizia. Un’occasione in più, oltre alle sei ore al mese di colloqui, per stare in famiglia.
A cura di Luisa Santangelo
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Giulia festeggia il suo decimo compleanno dentro a un carcere. E si commuove quando suo padre, detenuto, le porta una ciambella vaniglia e cioccolato con le candeline accese, per farle esprimere un desiderio. "Fortunati che il giorno è quello giusto", si sente dire. Catania, casa circondariale di Piazza Lanza. I cancelli del carcere a due passi dal centro della città si aprono per la "Partita con papà", organizzata dall'associazione Bambinisenzasbarre in collaborazione con il ministero della Giustizia.

Nel cortile di Piazza Lanza c'è un campo da calcio in erba sintetica. Sono stati messi alcuni tavoli, su cui sono state poggiate le bottiglie d'acqua fresche e lungo le linee di bordo campo sono state preparate delle sedie. Compagne, mogli e bambini di 14 detenuti sono attesi per le 17. Loro sono tutti pronti già in cortile, ma non sono autorizzati a farsi intervistare. Coi completini da calcetto, fanno qualche passaggio col pallone di cuoio sotto l'occhio vigile di alcuni agenti della polizia penitenziaria. Uno sarà l'arbitro. I controlli per entrare nella casa circondariale ci mettono parecchio tempo, alle 17.30 ancora nessun parente è riuscito a varcare i cancelli. "Così perdiamo mezz'ora", si lamenta un detenuto. Ma sembra dimenticare ogni protesta quando sua figlia gli corre incontro e lo abbraccia, mostrandogli le treccine colorate appena fatte ai capelli.

Piazza Lanza è un carcere di media sicurezza. Normalmente, dentro ci sono soprattutto detenuti che non hanno ancora un giudizio definitivo sulle spalle: chi è appena stato arrestato, chi non ha una condanna in Cassazione, chi ha fatto ricorso. Ma c'è anche chi deve scontare gli ultimi cinque anni di una condanna più lunga. Nel gruppo dei 14 ci sono persone accusate di reati violenti, furti, rapine, anche traffico internazionale di droga. Tutti partecipano ai laboratori che, a piazza Lanza, organizzano e gestiscono le volontarie dell'associazione Officina SocialMeccanica. Fanno un percorso, insomma, per gestire meglio i propri rapporti con figli e figlie, pur essendo temporaneamente privati della propria possibilità di essere genitori nel mondo che c'è fuori dal carcere.

La "Partita con papà" è un'occasione in più, oltre alle sei ore al mese di colloqui, per stare in famiglia. Che non siano abbastanza si capisce guardando le coppie che non si lasciano mai le mani. E i bambini che restano attaccati alle gambe dei padri. "È un evento molto sentito e atteso dalla popolazione detenuta", spiega a Fanpage.it Giuseppe Avelli, responsabile dell'Area trattamentale del carcere di piazza Lanza. "Noi facciamo i salti mortali per riuscire a garantire questo genere di attività. Per l'area femminile è più facile: qui ci sono circa una cinquantina di donne, riusciamo a trovare gli spazi più adatti. Per gli uomini, che sono circa duecento, è un poco più complicato – prosegue Avelli – Ma sono cose importanti, bisogna garantire ai detenuti spazi di normalità". E di umanità.

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In Italia la "Partita con papà" si svolge dal 2015. Quando è partita, gli istituti penali aderenti erano 12. Adesso sono 82. Piazza Lanza aderisce dal 2016. "Gli effetti collaterali della pena si riverberano, in maniera importante, sui familiari e sui bambini. Che però non sono autori di reato", interviene Elisabetta Zito, direttrice della casa circondariale etnea. "L'obiettivo è quello di fare sì che gli effetti negativi di avere un papà detenuto siano, per quanto possibile, almeno stemperati – aggiunge Zito – Devo ammettere che in questo i volontari ci aiutano moltissimo. Sono circa cento a lavorare con questo istituto, nell'organizzazione delle varie attività". Tra loro c'è anche Maria Chiara Salemi, di Officina SocialMeccanica: "La prima volta che sono entrata qui dentro è stata proprio per una partita coi papà – ricorda – Ed era stato un pugno nello stomaco: i cancelli, le sbarre, questi bambini che al momento di andare via avevano le lacrime agli occhi. Così ho deciso di impegnarmi in prima persona".

"Forse quello che manca – aggiunge la direttrice del carcere – è l'impegno dell'imprenditoria di questo territorio". Cioè la possibilità che i detenuti, una volta usciti dal carcere, possano trovare un lavoro regolare e ricevere gli strumenti per cambiare la propria vita. "Il fatto è che questo territorio soffre enormi difficoltà nell'inserimento del mondo del lavoro già in casi normali, quindi in condizioni svantaggiate è ancora più complesso". Qualcosa, però, si deve fare: "E quello che si deve fare non può essere uguale per tutta la nazione: ogni area ha le sue specificità, ogni comunità ha il suo modo di rispondere alla pena – conclude Elisabetta Zito – In primo luogo è necessario che sia chiaro che luoghi diversi hanno bisogno di soluzioni diverse".

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