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Omicidio Yara Gambirasio

Caso Yara, Bossetti ricorda il giorno dell’arresto: “Quel giorno la mia vita cambiò per sempre”

“Di quel 16 giugno rimane il ricordo di un giorno drammatico, traumatico, indimenticabile” scrive l’uomo condannato in via definitiva per l’omicidio di Yara Gambirasio in una lettera a TeleLombardia. “Ero in cantiere. Dall’impalcatura vidi sbucare un bestione, un carabiniere con uno sguardo feroce che mi intimò di fermarmi…”
A cura di Biagio Chiariello
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Era il 16 giugno 2014 quando veniva scritto un nuovo fondamentale capitolo della triste storia di Yara Gambirasio, la 13enne di Brembate di Sopra scomparsa la sera del 26 novembre e ritrovata priva di vita tre mesi dopo in un campo di Chignolo d’Isola. L'arresto di Massimo Giuseppe Bossetti, muratore di 42 anni, con una moglie e tre figli. Insospettabile, fino a quel giorno. Il suo Dna però risulta coincidere con l’impronta genetica che l’assassino (chiamato all’inizio “Ignoto 1“) ha lasciato sulla ragazzina.

“Di quel 16 giugno rimane il ricordo di un giorno drammatico, traumatico, indimenticabile. Da una vita scandita amorevolmente tra le quattro mura domestiche e quelle dei cantieri edili, un giorno improvvisamente la mia vita cambiò per sempre. Una cosa impensabile…" le parole in una lettera di colui che sarà poi condannato in via definitiva nell'ottobre del 2018 per l'omicidio di Yara. A pubblicarla in esclusiva è TeleLombardia. Bossetti da allora ha sempre proclamato la propria innocenza.

"Mi trovavo in un cantiere di Seriate alla costruzione di una villetta unifamiliare, una normale, comune giornata lavorativa … Ricordo che rimasi lì tutto il giorno quando poco dopo le 17, un esercito di 30/40 carabinieri, polizia di stato fece irruzione in cantiere … " ricorda. "Dall’impalcatura vidi sbucare un bestione, un carabiniere con uno sguardo feroce che mi intimò di fermarmi, di buttare a terra la cazzuola. Gli chiesi cosa stesse succedendo, ma lui mi intimò: “stia zitto, abbassi lo sguardo, non mi guardi in faccia e si inginocchi”. "Ma come stia zitto e si inginocchi" io risposi, "mi sta trattando come se fossi uno spacciatore di droga".

Sono passati dunque 10 anni dal suo arresto e Massimo Bossetti continua a sperare nella revisione del processo. A maggio i suoi avvocati hanno potuto vedere per la prima volta reperti e campioni che hanno portato all’ergastolo il muratore di Mapello.

Bossetti ricorda ancora: "Mi trovai a terra inginocchiato sul ponteggio, accerchiato da carabinieri e poliziotti con tanto di telecamera in mano. Subito mi misero le manette e trattenuto dalla forte presa che sprigionavano le loro mani al collo, alle spalle … Implorai di mollarmi, di lasciarmi andare … Volevano solo che io stessi zitto, senza che io potessi né capire, né sapere cosa in quel tragico momento mi stesse capitando …” .

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