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Caso Yara, Bossetti e il Dna: perché il clamore di questa indagine è solamente mediatico

La Procura di Venezia ha richiesto l’archiviazione dell’esposto proposto dai legali di Bossetti. Spieghiamo perché il caso è chiuso.
A cura di Anna Vagli
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“Al di là di ogni ragionevole dubbio” è un posto difficile da conquistare. Ma quando lo si conquista, come nel caso Gambirasio, sollevare continui dubbi è un oltraggio al senso di giustizia. Per questa ragione, e nel ricordo di Yara, è auspicabile che, dopo la pronuncia della Procura di Venezia, venga posta definitivamente la parola fine a questa brutta pagina di cronaca nera. Una pagina in cui ha perso la vita una ragazzina di soli tredici anni. Volendo quindi contribuire a dissipare le perplessità rimaste, capiamo il perché i magistrati veneziani hanno chiesto l’archiviazione conseguente all’ennesimo esposto dei legali di Bossetti.

Il clamore di questa indagine è stato solamente mediatico. Difatti, era chiaro che – dopo il deposito di un esposto – la Procura di Venezia non poteva far altro che avviare un procedimento penale. In questa direzione, i magistrati veneziani avevano iscritto nel registro degli indagati il Presidente della Corte d’Assise di Bergamo e funzionario dell’ufficio corpi di reato.

Il reato contestato era quello della frode processuale e di depistaggio. In particolare, gli avvocati di Bossetti avevano richiesto la verifica della corretta conservazione dei reperti, nello specifico delle 54 campionature di Dna custodite nel Tribunale di Bergamo. Ovviamente auspicando di poterli utilizzare per ottenere la revisione del processo.

In particolare, i dubbi che la difesa di Bossetti aveva sollevato riguardavano la conservazione delle provette contenenti Dna a temperatura ambiente. Una modalità non idonea a preservare campionature di tipo biologico. Ma la richiesta di archiviazione da parte della Procura era fisiologica. E lo è stata per ragioni processuali. Questo perché non vige nell’ordinamento penale italiano una norma che preveda la conservazione di un campione, anche se biologico, all’interno di un frigorifero. Al contrario, la legge prevede che il reperto debba essere conservato semplicemente presso l’ufficio corpi di reato.

Gli ufficiali del RIS, anche nel corso del dibattimento, avevano per giunta più volte evidenziato come il materiale genetico fosse stato tutto consumato nel corso delle varie consulenze. E, di questo, gli avvocati di Bossetti ne sono sempre stati consapevoli.

Di conseguenza, la perizia che continuano a invocare, non consentirebbe nuove amplificazioni né tantomeno tipizzazioni del Dna. Inoltre, in giudizio, è stata dimostrata la regolarità del procedimento concretizzatosi nell’isolamento della traccia genetica, nell’estrazione e nell’individuazione di un profilo sconosciuto. Per questa ragione denominato Ignoto 1. Ci sono poi voluti tre anni e migliaia di campionamenti per risalire a Massimo Giuseppe Bossetti. Nessun complotto contro il condannato né ombra di contaminazione. Quando si svolgevano le indagini sul Dna quest’ultimo non era né un indagato né un sospettato.

Una volta acclarato che Ignoto 1 è Bossetti la ripetizione dell’analisi attraverso i residui di campioni è inutile. E lo è perché, come confermato in giudizio dal reparto investigazioni scientifiche, il profilo genetico è stato confermato da ventiquattro marcatori allelici. Quando, le linee guida internazionali, per l’attribuzione a un soggetto ne richiedono solamente quindici.

Ma, se le motivazioni scientifiche non dovessero bastare, spieghiamo in maniera coincisa quelle giuridiche. Nel nostro ordinamento giudiziario non esiste una norma che preveda la ripetibilità della prova scientifica quando questa sia ritenuta dai giudici superflua. Nessuna violazione del diritto alla difesa, ventiquattro marcatori allelici identificativi sono più che sufficienti. Il caso è chiuso.

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Dottoressa Anna Vagli, giurista, criminologa forense, giornalista- pubblicista, esperta in psicologia investigativa, sopralluogo tecnico sulla scena del crimine e criminal profiling. Certificata come esperta in neuroscienze applicate presso l’Harvard University. Direttore scientifico master in criminologia in partnership con Studio Cataldi e Formazione Giuridica
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