Caso Regeni, dall’Egitto nessuna collaborazione: processo sospeso e udienza rimandata a ottobre
Processo sospeso e prossima udienza il 10 ottobre. Il gup di Roma ha disposto la sospensione del procedimento a carico di quattro 007 egiziani accusati di avere sequestrato, torturato e ucciso il ricercatore italiano Giulio Regeni affidando ai Ros nuove ricerche. Le ragioni del provvedimento sono arrivate di fronte alle comunicazioni del ministero della giustizia rispetto al rifiuto di collaborare da parte delle autorità egiziane e la impossibilità da parte dei carabinieri di arrivare agli indirizzi degli imputati. La nuova udienza è appunto stata fissata per il 10 ottobre, quando verrà ascoltato il capo dipartimento affari giudiziari del Ministero della Giustizia, Nicola Russo, sugli eventuali sviluppi dopo la nota inviata agli egiziani in seguito all'incontro del 15 marzo. Il giudice ha definito "del tutto pretestuose le argomentazioni della Procura Generale del Cairo”, e ha aggiunto che il "rifiuto di collaborazione delle autorità egiziane è un dato di fatto”. Per il caso di Giulio Regeni sono sotto accusa: Tariq Sabir, Athar Kamel Mohamed Ibrahim, Uhsam Helmi, Magdi Ibrahim Abdelal Sharif. L’ultimo deve rispondere, oltre che del sequestro di persona pluriaggravato contestato a tutti, anche di lesioni personali aggravate e dell'omicidio del ricercatore friulano.
Caso Regeni: “Da Egitto nessuna collaborazione”
Totale chiusura dell’autorità egiziane a un collaborazione con l'Italia per il caso Regeni. Questo quanto appunto emerso dalla nota che il ministero della Giustizia ha inviato al gup di Roma nel giorno dell'udienza del procedimento a carico dei quattro 007 accusati di avere ucciso il giovane italiano nel 2016. Lo scorso gennaio il giudice Roberto Ranazzi aveva chiesto al governo di verificare la possibilità di una "interlocuzione" con le autorità egiziane. Nel documento trasmesso a piazzale Clodio, in particolare, il ministero scrive del "rifiuto dell'Egitto di collaborare nell'attività di notifica degli atti" con l'Italia nonché il ‘no' a un incontro tra il ministro Cartabia e il suo omologo egiziano. Inoltre, il 15 marzo il direttore della cooperazione giudiziaria italiana si è recato a un incontro in Egitto durante il quale gli è stato comunicato che sulla vicenda la competenza è della Procura Generale per la quale il caso Regeni è chiuso e non è possibile effettuare ulteriori indagini. Dal canto loro i carabinieri del Ros, a cui il gup aveva chiesto nuove ricerche sul domicilio degli indagati, hanno comunicato di essere riusciti ad acquisire l'indirizzo del luogo di lavoro dei quattro ma per il codice di procedura penale per questioni internazionali per le notifiche è necessario il domicilio.
Avvocato della famiglia Regeni: "Ennesima presa in giro, Draghi intervenga"
"Prendiamo atto dei tentativi falliti del Ministero della Giustizia di ottenere concreta collaborazione da parte delle autorità egiziane e siamo amareggiati e indignati dalla risposta della procura del regime di Al Sisi che continua a farsi beffe delle nostre istituzioni e del nostro sistema di diritto. Chiediamo che il presidente Draghi condividendo la nostra indignazione pretenda, senza se e senza ma, le elezioni di domicilio dei 4 imputati. Oggi è stata un'ennesima presa in giro": le parole dell'avvocata Alessandra Ballerini, legale dei genitori di Giulio Regeni. "La lesione della tutela della vita, della libertà e dell'integrità dei cittadini all'estero, come la Presidenza del Consiglio ricorda nel suo atto di costituzione di parte civile, costituisce grave pregiudizio dell'immagine e del prestigio dello Stato Italiano nella sua funzione di protezione dei propri cittadini – ha aggiunto Ballerini-. Quindi, visto il conclamato ostruzionismo egiziano pretendiamo da parte del nostro governo la necessaria, tempestiva e proporzionata reazione. Stare inermi ora, permettere al regime di Al Sisi di bloccare questo processo faticosamente istruito, consentirebbe l'impunità degli assassini di Giulio ed equivarrebbe ad essere loro complici. Il nostro governo ha il dovere invece di esigere energicamente giustizia".