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Omicidio Giulio Regeni

Caso Regeni, dalla Consulta arriva la svolta: gli 007 egiziani andranno a processo

I quattro agenti dei servizi egiziani imputati per l’uccisione di Giulio Regeni, il dottorando italiano torturato a Il Cairo e trovato morto il 3 febbraio 2016, verranno processati. A stabilirlo la decisione della Corte Costituzionale che ha accolto la richiesta del gup di Roma e dichiarato illegittima l’improcedibilità in caso di mancata notifica ai diretti interessati.
A cura di Eleonora Panseri
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I quattro agenti dei servizi egiziani imputati per l’uccisione di Giulio Regeni, il dottorando italiano dell'Università di Cambridge rapito a Il Cairo nel 2016 e ritrovato morto il 3 febbraio dello stesso anno, verranno processati. Lo stabilisce una decisione della Corte Costituzionale che ha dichiarato illegittima l’improcedibilità in caso di mancata notifica ai diretti interessati dal procedimento perché, in tale caso, non è possibile stabilire con assoluta certezza che le persone siano state messe a conoscenza della pendenza del processo.

La Consulta spiega che tale eventualità non possa essere considerata valida per il reato di tortura, quando l’impossibilità di informare cittadini stranieri del loro status di imputato sia dovuto alla mancata collaborazione con le autorità del loro Stato di appartenenza. La sentenza sarà depositata nelle prossime settimane.

In attesa, l'Ufficio comunicazione e stampa della Corte fa sapere con una nota che "la Corte ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 420-bis, comma 3, del codice di procedura penale, nella parte in cui non prevede che il giudice procede in assenza per i delitti commessi mediante gli atti di tortura definiti dall'art. 1, comma 1, della Convenzione di New York contro la tortura, quando, a causa della mancata assistenza dello Stato di appartenenza dell'imputato, è impossibile avere la prova che quest'ultimo, pur consapevole del procedimento, sia stato messo a conoscenza della pendenza del processo, fatto salvo il diritto dell'imputato stesso a un nuovo processo in presenza per il riesame del merito della causa".

I genitori di Giulio: "Avevamo ragione noi"

"Avevamo ragione noi: ripugnava al senso comune di giustizia che il processo per il sequestro le torture e l'uccisione di Giulio non potesse essere celebrato a causa dell'ostruzionismo della dittatura di al-Sisi per conto della quale i quattro imputati hanno commesso questi terribili delitti". Così affermano in una nota i genitori di Giulio Regeni, i signori Paola Deffendi e Claudio Regeni, la famiglia tutta, ed il legale che sin dalle prime ore e in questi anni è stata al loro fianco, l'avvocato Alessandra Ballerini.

"In effetti come ha scritto il gup Ranazzi nella sua ordinanza ‘non esiste processo più ingiusto di quello che non si può instaurare per volontà di un'autorità di governo' – si sottolinea – Abbiamo dovuto resistere contro questa ‘volontà' dittatoriale per sette anni e mezzo confidando comunque sempre nei principi costituzionali della nostra democrazia. Ringraziamo tutte le persone che hanno sostenuto e sosterranno il nostro percorso verso verità e giustizia: la procura di Roma ed in particolare il dottor Colaiocco, la scorta mediatica, e tutto il popolo giallo."

L'invio degli atti alla Consulta

I giudici costituzionali hanno quindi accolto le motivazioni con le quali il giudice per l’udienza preliminare di Roma, Roberto Ranazzi, il 31 maggio scorso aveva deciso di inviare gli atti alla Consulta: “Di fatto, lo Stato egiziano rifiutando di cooperare con le Autorità italiane sottrae i propri funzionari alla giurisdizione del giudice italiano – aveva scritto -, creando una situazione di immunità non riconosciuta da alcuna norma dell’ordinamento internazionale, peraltro con delitti che violano i diritti fondamentali dell’uomo universalmente riconosciuti. Tale situazione di immunità determina una inammissibile ‘zona franca’ di impunità per i cittadini-funzionari egiziani nei confronti dei cittadini italiani che abbiano subito in quel Paese dei delitti per i quali è riconosciuta la giurisdizione del giudice italiano in base alle convenzioni internazionali”.

Appena appresa la notizia dell'invio degli atti alla Consulta, l'avvocata Alessandra Ballerini, riferendo il pensiero di Paola e Claudio Regeni, aveva commentato così la decisione: "C'è una speranza in più, speriamo che questa sia la volta definitiva e che venga sancito che questo processo si può e si deve fare. Visto che noi diciamo sempre che Giulio ‘fa cose', speriamo che Giulio possa intervenire anche in una riforma legislativa che consenta di non lasciare impuniti i reati di questa gravità quando gli stati non collaborano".

La morte di Giulio Regeni

Giulio Regeni, 28enne originario di Fiumicello, in provincia di Udine, era un dottorando in commercio e sviluppo internazionale al dipartimento di politica e studi internazionali dell’università di Cambridge e si trovava in Egitto per la sua tesi. Lunedì 25 gennaio 2016, mentre si recava in metro a un appuntamento vicino a Piazza Tahir, era stato rapito, torturato e ucciso. Il suo corpo era poi stato gettato in un fosso a 60 km dal Cairo, verso Alessandria e ritrovato il 3 febbraio.

La pista più accreditata è che sia stato torturato affinché rivelasse i nomi della sua rete di contatti nelle fila dell'opposizione egiziana. Regeni aveva infatti avviato delle ricerche sulle condizioni dei lavoratori egiziani e si stava preparando a intervistare alcuni sindacalisti. In passato aveva seguito gli scioperi di Giza e i movimenti che contestavano la deposizione di Morsi, il primo presidente democraticamente eletto del paese. Aveva raccontato l'Egitto delle rivolte represse con il sangue e si era apertamente schierato contro quello che giudicava un regime militare spietato. Più volte aveva pubblicato i suoi pezzi su alcuni quotidiani italiani firmandosi con uno pseudonimo. Sapeva infatti di essere un soggetto "sensibile" ed aveva anche espresso i suoi timori.

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