Caso Giuseppe Uva, la sorella Lucia: “Finalmente il processo, ma quanti anni di dolore”
Sei anni è un periodo lunghissimo. Sei anni sono un'eternità, soprattutto se si tratta di una battaglia come quella che combattono i familiari di Uva, Cucchi, Aldrovandi, Ferrulli e tanti altri. Lucia Uva è da sei anni che lo ripete, come un mantra, anche nei momenti più drammatici: "Voglio sapere come è morto mio fratello". Lo dice anche ora, che si è meno lontani dalla verità. Perché c'è chi non si rassegna facilmente al fatto che un uomo una sera beva un bicchiere di troppo, faccia una bravata senza significato, venga trascinato in caserma e muoia. Morte naturale, autolesionismo, "era uno sballato, un drogato, un ubriacone", come se sporcarne la memoria potesse distogliere l'attenzione dall'unica vera domanda: "Perché Pino Uva è entrato in una caserma dei carabinieri a Varese ed è uscito dall'ospedale morto, con il corpo martoriato?".
Cosa è successo a Giuseppe Uva in caserma: ci sarà il processo – Quante ne ha sentite Lucia, in questi anni, prima di giungere alla prima vera svolta: il processo. Che alla fine è arrivato, perché il gup di Varese Stefano Sala ha rinviato a giudizio sei poliziotti e un carabiniere, imputati per omicidio preterintenzionale e altri reati in relazione alla morte di Giuseppe. L'altro carabiniere imputato, che aveva scelto il giudizio immediato, verrà processato insieme ai colleghi. Felice Isnardi, pm facente funzioni dopo la rimozione del pm Agostino Abate, aveva invece chiesto il non luogo a procedere. Ma così come è accaduto con l'imputazione coatta ordinata a marzo scorso dal gip Giuseppe Battarino, la svolta decisiva arriva ora dalla decisione del gup di non accogliere la richiesta del pm. Si va a processo, insomma, che inizia il 20 Ottobre prossimo. "Quanto ho aspettato questo momento, è stata una cosa incredibile dover lottare in questo modo per arrivare a un processo", confida Lucia con la voce che ancora trema: ha tagliato i capelli perché lo aveva "promesso" a Pino; ora sfoggia un taglio cortissimo, e un largo sorriso nonostante tutto. "Io adesso penso solo a una cosa, scoprire cosa è successo in quella caserma. Voglio sentire dalle loro voci cosa è successo. Devono essere loro a dimostrarmi che in questi sei anni ero matta, ma io ho visto il corpo di mio fratello martoriato".
Il caso Uva rischia la prescrizione
Quello del processo per arrivare alla verità è un risultato importante "che avremmo potuto avere già quattro anni fa – sottolinea con amarezza l'avvocato Fabio Anselmo – Ma questo ritardo lo dobbiamo al pm Agostino Abate che invece ha ostacolato in tutti i modi questo momento tenendosi il fascicolo per anni, senza chiedere l'archiviazione né il rinvio a giudizio". Una situazione di stallo che ora potrebbe costare molto cara, perché incombe anche la prescrizione su un processo già difficilissimo. Prescrizione per quasi tutti i reati, tranne l'omicidio preterintenzionale. Capitolo doloroso, quello del pm Abate: "Ha tenuto tutto in un cassetto – rincara Lucia – ed è una cosa vergognosa. Io credo nella giustizia e Giuseppe è stato picchiato, mi sono presa anche una denuncia per aver detto questo (diffamazione aggravata, ndr) e sono pronta ad assumermi le mie responsabilità".
Giuseppe Uva, il dolore di Lucia: "Sono le vittime ad essere processate" – Il dolore più grande, dopo la morte del fratello, Lucia Uva lo ha provato nell'esporre la memoria di Giuseppe a ogni illazione: "La difesa delle forze dell'ordine e anche il pm Abate – ricorda – lo hanno descritto come un uomo di niente". E poi le accuse a lei: "Ancora oggi, gli avvocati dei poliziotti si sono permessi di dire che io ho voluto farmi pubblicità sulla morte di mio fratello – si sfoga – Ma loro non sanno che Lucia Uva voleva sapere dal primo momento perché suo fratello non è più tornato a casa. Io sono sei anni che faccio sempre le stesse domande, non è che le cambio. Cosa ci faceva Pino in quella caserma con due carabinieri e sei poliziotti? Se si è lesionato da solo, come dicono, perché non l'hanno portato subito in ospedale? Loro me lo devono dire". E' una vittoria questa del processo, la dimostrazione che fino a qui, secondo la giustizia italiana Lucia ha ragione. Ma è una ragione amarissima: "Le famiglie sono sole, siamo noi ad essere messi sotto processo. Mi creda, sono allo stremo delle forze ma vado avanti. A Pino lo hanno descritto in tutti i modi, anche come uno sbandato. Ma lui aveva 43 anni e una tremenda voglia di vivere. Ce l'aveva scritto persino sulla cintura, drammatica coincidenza, che poi abbiamo trovato piena di schizzi di sangue". Giuseppe la indossava in quella tragica notte del 14 giugno 2008: era di colore nero e aveva una scritta bianca. C'era scritto proprio così: "Tremenda voglia di vivere".