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Processo sulla morte di Stefano Cucchi

Caso Cucchi, pg chiede di aumentare a 13 anni la pena per i carabinieri condannati in primo grado

Aumentare la pena a 13 anni, escludendo le attenuanti generiche dall’accusa di omicidio preterintenzionale per i carabinieri Alessio Di Bernardo e Raffaele D’Alessandro. È questa la richiesta del procuratore generale di Roma, Roberto Cavallone, nel processo d’appello per la morte di Stefano Cucchi. “In questa storia abbiamo perso tutti”, ha tuonato durante la sua requisitoria il pg.
A cura di Chiara Ammendola
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Stefano Cucchi
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Ha chiesto un aumento di pena a 13 anni per i carabinieri Alessio Di Bernardo e Raffaele D’Alessandro condannati in primo grado per l'omicidio di Stefano Cucchi, il pg Roberto Cavallone. La richiesta è giunta quest'oggi davanti alla Corte d’Assise d’Appello nel processo per la morte del geometra avvenuta il 22 ottobre 2009, a Roma, una settimana dopo il suo arresto.

La condanna a dodici gradi in primo grado per i due carabinieri

I due militari sono accusati di omicidio preterintenzionale per il pestaggio avvenuto la notte dell'arresto di Stefano Cucchi, nei locali della Compagnia Casilina: il 14 novembre 2019 i carabinieri sono stati condannati dalla prima corte d’Assise di Roma a dodici anni di carcere. In questo processo d'appello invece il procuratore generale oltre a chiedere di escludere le attenuanti per i due carabinieri ha sollecitato l'assoluzione dall’accusa di falso per Francesco Tedesco perché il fatto non costituisce reato mentre ha chiesto una condanna a 4 anni e mezzo per Roberto Mandolini. Lo stesso Tedesco nel processo di primo grado fu assolto dall'accusa di omicidio "per non aver commesso il fatto" mentre fu condannato a due anni e mezzo per falso. Per la stessa accusa era stato condannato a tre anni e otto mesi il maresciallo Roberto Mandolini, all’epoca dei fatti comandante della stazione Appia.

Stefano quel giorno doveva andare in ospedale e non carcere

"Nessuno ha fatto una bella figura. Stefano Cucchi quel giorno doveva andare in ospedale e non in carcere" ha sottolineato il pg. "Credo che nel nostro lavoro serva più attenzione alle persone piuttosto che alle carte che abbiamo davanti. Dietro le carte c’e’ la vita delle persone". "Quanta violenza siamo disposti a nascondere ai nostri occhi da parte dello Stato senza farci problemi di coscienza? Quanto è giustificabile l’uso della forza in certe condizioni? Noi dobbiamo essere diversi – ha proseguito Cavallone – noi siamo addestrati a resistere alle provocazioni, alle situazioni di rischio”. Il pg ricordando tra gli altri il caso della morte di Federico Aldrovandi ha aggiunto che "le vittime di queste violenze sono i marginalizzati. In questa storia abbiamo perso tutti, Stefano, la sua famiglia, lo Stato".“In questa storia abbiamo perso tutti”, ha detto Cavallone nella requisitoria.

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