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Processo sulla morte di Stefano Cucchi

Caso Cucchi, la famiglia chiede 2 milioni di euro di risarcimento: “Siamo stati carne da macello”

Fabio Anselmo, legale di parte civile della famiglia di Stefano Cucchi, durante il processo sui presunti depistaggi seguiti alla morte del ragazzo ha chiesto che venga riconosciuto alla famiglia un risarcimento di 2 milioni di euro.
A cura di Davide Falcioni
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Stefano Cucchi
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"Siamo stati carne da macello per queste persone, ma noi siamo esseri umani: è stato fatto di tutto per nascondere responsabilità gravi". Sono le parole usate dall’avvocato Fabio Anselmo, legale di parte civile della famiglia di Stefano Cucchi, durante il processo sui presunti depistaggi seguiti alla morte del ragazzo avvenuta il 22 ottobre 2009 mentre era sottoposto a custodia cautelare nel reparto detenuti dell'ospedale Sandro Pertini di Roma. Intervenendo dall’aula bunker di Rebibbia, Anselmo ha ricordato come il corpo di Stefano fosse "un mappamondo di lesioni". Nelle conclusioni depositate dal legale di parte civile è stata chiesta una provvisionale di 750mila euro e un risarcimento di oltre due milioni di euro. Per i presunti depistaggi sono imputati otto carabinieri: il generale Alessandro Casarsa all'epoca dei fatti comandante del Gruppo Roma, e altri 7 militari, tra i quali anche Lorenzo Sabatino, allora comandante del reparto operativo dei carabinieri di Roma. Le accuse, a vario titolo e a seconda delle posizioni, sono quelle di falso, favoreggiamento, omessa denuncia e calunnia. Il pubblico ministero Giovanni Musarò ha chiesto la condanna nei confronti di tutti e otto gli uomini dell'Arma. "Condivido in pieno la ricostruzione del pubblico ministero – ha sostenuto Anselmo – io un pubblico ministero così in 36 anni di carriera non l’ho mai conosciuto".

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L'avvocato Anselmo ha ricordato che quella di Stefano Cucchi "è stata una vicenda tremenda per la famiglia, per gli agenti penitenziari, per lo Stato, e anche per l’Arma che è parte civile. Da queste quaranta udienze, da questa inchiesta, è emerso che esistono tante parti sane nell’Arma dei carabinieri". Nel 2015, ha ricordato il legale, "si è perso però il treno per poter rimediare e si è reiterato il depistaggio. Anche dopo quella data e anche per quello che è accaduto in quest’aula ci sono stati segnali inquietanti". Secondo Fabio Anselmo "i depistaggi su Stefano Cucchi sono stati finalizzati, fin dal primo momento, ad allontanare qualsivoglia responsabilità delle istituzioni dello Stato sulla sua morte, quando Stefano era proprio nelle mani dello Stato. Depistaggi che hanno come principale motore e ‘anima nera’ nel generale Alessandro Casarsa". L'esame della posizione di quest'ultimo, secondo l'avvocato, rappresenta "una confessione, di chi sente al di sopra di tutto e di tutti, di chi mostra un amore viscerale per la carriera. È lui l’uomo operativo: si è tentato di farci credere che nessuno sapeva nulla, che le notizie venivano apprese dalla stampa. La cosa che più mi ha stupito in questo processo è che si è negata l’evidenza, la logica, fino alla fine".

Durante la sua requisitoria Anselmo ha fatto ascoltare in aula la registrazione dell'udienza di convalida del fermo di Cucchi, avvenuto per detenzione di droga. "Fa venire i brividi ascoltare Stefano: esce da quell'udienza per andare a morire. Cucchi era un ragazzo perfettamente sano, faceva palestra, era magro esattamente come sua sorella e nessuno rivedendo le sue foto direbbe che è una tossicodipendente". Concludendo il suo intervento il penalista ha detto: "Siamo stati carne da macello per queste persone, ma noi siamo essere umani: è stato fatto di tutto per nascondere responsabilità gravi. Questa è stata una vicenda tremenda per la famiglia, per gli agenti della Penitenziaria, per lo Stato, e anche per l'Arma che è parte civile".

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