Caserma carabinieri Piacenza, niente risarcimento per il primo accusatore: “Non mi pento di nulla”
È stato il primo grande accusatore di un sistema che qualche giorno fa ha portato alle condanne per tutti i carabinieri coinvolti nello scandalo della Caserma Levante di Piacenza. Eppure, al momento Hamza Lyamani, il giovane marocchino che con le sue rivelazioni a un maggiore dell'Arma ha dato il via all'inchiesta, oggi si sente abbandonato dalle istituzioni alle quali si era affidato. Dopo il rito abbreviato e la sentenza della scorsa settimana, il gup del Tribunale di Bologna ha chiuso il primo atto della vicenda giudiziaria, condannando a 12 anni l'appuntato Giuseppe Montella, ritenuto il leader del gruppo, e rigettando alcune richieste di risarcimento, compresa quella del marocchino di 27 anni. “Ho indicato io dove mettere le cimici” sottolinea il giovane a Fanpage.it, ricordando inoltre minacce, percosse e “torture” subite da alcuni uomini in divisi coi quali era entrato in contatto tramite una precedente conoscenza con lo stesso Montella.
I due si conoscevano perché qualche anno prima, il militare era preparatore atletico in una squadra di calcio in cui giocava Hamza, che non è mai stato proprio un santo. In seguito a un periodo di domiciliari per spaccio, i due si ritrovano casualmente nella Caserma Levante, dove il marocchino doveva recarsi per l'obbligo di firma e dove viene avvicinato per diventare informatore e spacciatore per conto dei militari immischiati nella vicenda. Hamza contribuisce così a diverse operazioni antidroga, fino a quando non decide di tirarsi indietro. “Mi hanno spaccato il naso due volte” ricorda però quando spiega la difficoltà per uscire da quel meccanismo corrotto, dal quale riesce comunque ad allontanarsi, chiedendo aiuto al maggiore Rocco Papaleo, comandante della compagnia carabinieri di Cremona (per dieci anni alla guida del Nucleo Investigativo di Piacenza). Convocato dalla polizia locale per un'altra questione, legata a indagini per stalking, Papaleo fa ascoltare dei messaggi vocali con le rivelazioni del giovane e da lì parte l'attività investigativa che svelerà le trame illecite della caserma piacentina.
“L'unico aiuto che mi hanno dato è stato un permesso di soggiorno che però non mi consente di lavorare, perché è per motivi giudiziari” si sfoga però Hamza, senza una occupazione, senza i documenti adatti per trovarne una e con tanta paura che la sua denuncia, oltre a non portare alcun risarcimento, gli faccia correre rischi anche maggiori. Il ragazzo, infatti, racconta di minacce ricevute da gente che si è ritrovata implicata per le sue dichiarazioni, al punto da preferire di rimanere il più lontano possibile da Piacenza. “Adesso sono pulito, sono seguito dal Sert e assumo dei farmaci per stare tranquillo, ma non posso farmi mantenere dai miei -aggiunge Hamza, con trascorsi anche nel settore della ristorazione, dopo gli studi alberghieri – : gli altri inviano soldi in Africa, mentre io li ricevo dal Marocco. Il giudice ha detto che io e mio padre siamo stati il Vangelo per questa inchiesta, però non ho avuto niente, se non debiti coi miei. Non mi pento assolutamente di quello che fatto e guardi -conclude- non voglio neanche il risarcimento, ma un permesso di lavoro che mi consenta di lavorare e fare una vita regolare, com'era prima di incontrare Montella”.