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Opinioni

Casamonica: i veri responsabili siamo noi

Prima ancora di gridare allo scandalo per l’illegalità dell’elicottero “sparapetali” sui funerali pacchiani di una famiglia di criminali andrebbe riconosciuto che la mafia romana nasce e si sviluppa in un vuoto soprattutto culturale e di informazione. Dove anche il Vaticano ha delle responsabilità enormi.
A cura di Sabina Ambrogi
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Ora che è passato lo stupore per il kitch delle esequie di Vittorio Casamonica vale la pena fare ordine nelle principali cose emerse da questo funerale. La prima è il tributo sempre più inquietante che paga la politica solo e sempre a ciò che appare. Poiché bisognava reagire immediatamente a quella parata cafona di un'etnia presente nelle cronache perché “ruba-portafogli-nella-metro”, ma che stavolta seguiva il feretro dell'illustre defunto con carrozze cavalli e Rolls, si è sprigionata una nube tossica di: “cadranno teste”, “le teste che rotolano”, “dimissioni di tizio e caio!”,“ Renzi convoca Marino”, “che scandalo: Marino è in vacanza”. “ Chi ha sbagliato paghi”. E come sempre nessuno paga se non qualche figura secondaria. Quindi perché qualcuno dovrebbe cambiare, in fondo?

Siamo però sicuri che i media per primi non abbiano colpe che in queste ore attribuiscono a questo o quel politico?

La famiglia Casamonica è nominata come “cosca” solo nelle cronache di questi giorni a supporto delle voci scandalizzate. Nessuna agenzia Ansa riporta mai il nome Vittorio Casamonica prima del 20 agosto. Nessuno, sapeva che fosse un boss. Anzi, in realtà non si conoscono neanche i suoi reati che sono solo minori. Che la famiglia di cui era patriarca fosse criminale era storia nota solo a chi fa (e segue) le grandi inchieste come quelle di Gabanelli, che già nel 2010 aveva parlato diffusamente dei Casamonica, dei loro addentellati con l'imprenditoria e politica romana, della loro natura criminale unita a una pacchianeria senza freni. Non solo. Aveva anche intervistato un marmista iraniano massacrato di botte dai membri della famiglia per aver osato chiedere il compenso per il lavoro di artigiano che gli avevano commissionato. La guida del giornalista, entrambi filmati in un'auto che portava lo spettatore alla scoperta di quel sottomondo di ville e di sfarzi, diceva: “Vedi? Per fare queste ville ci vogliono autorizzazioni, devi sapere, devi conoscere… Possibile che nessuno impedisca nulla?”.

Il giorno dopo quell'inchiesta e quelle rivelazioni non è seguita nessuna presa di posizione da parte di nessuno. Nessun quotidiano ha ripreso la notizia. Dei Casamonica inabissati nel vuoto di informazioni e rinchiusi nella loro pacchiana vita criminale spacciata per “folklore gitano” ne ha riparlato solo Lirio Abbate, nella famosa inchiesta “Re di Roma”, pubblicata dall'Espresso nel dicembre 2012, divenuta però nota solo dopo, quando cioè il procuratore Pignatone ha per la prima volta parlato di Mafia Capitale e delle famiglie e persone coinvolte. E siamo nel Gennaio 2015. Da nessuna parte appare il nome di Vittorio. Né nei giorni passati è uscita un'agenzia che ne annunciasse la morte, per il semplice fatto che non era una notizia. C'è una sola sequenza di immagini di quel funerale. Nessuno era stato mandato a coprire l'evento. Deve essere avvenuto solo nel corso dei fatti data la vistosità dell'evento.

Il primo dato da estrapolare è quindi che siamo in presenza di un difetto culturale enorme: non si vuole vedere oppure si dà per scontata questa forma di criminalità. Nessuna delle due ipotesi conforta, però.

Decontestualizzare poi l'accaduto per minimizzarlo rimuovendo i dati essenziali ha da sempre le sue brillanti penne tra i comunicatori di destra che vanno da Fabrizio Rondolino (nella furba posizione di ex democratico) a Sgarbi passando per Ferrara che da subito ha sollevato fumo sull'esistenza di Mafia Capitale: una congrega di “cravattari”, ha detto.

Se la cultura è questa, e se il problema politico è quello “dei campi rom” (quanti talk avrà dedicato Corrado Formigli ai campi rom? E Rai Uno? E Mediaset? E quanto ce ne ha parlato Matteo Salvini?), se la resistenza a prendere atto di una rete criminale che innerva la vita pubblica (anche senza sforzo basta pensare che Marcello Dell'Utri fondatore di Forza Italia è in carcere per mafia) è evidente che l'organizzazione di un funerale pacchiano, uguale identico a quello avvenuto per un altro patriarca rom, Carlo Braidich, a Trebaseleghe in provincia di Padova, nel 2013, è solo una questione di folklore. “A me il funerale Casamonica sembra una delle pochissime cose cool successe a Roma da decenni. (E che la mafia esista lo sapevamo già, no?)”, ha twittato Fabrizio Rondolino di ritorno dagli States.

La seconda grande questione deve riguardare invece il mondo cattolico e la credibilità del clero. Cosa ha deciso di essere la Chiesa? Una setta che mette insieme superstizioni o un luogo di fede per chi crede? E' vero che dalle pagine dell'Osservatore Romano si sono indignati e fatte allusioni alla “scomunica del mondo mafioso”, peccato però che nessuno di coloro che celebrano il loro Re di Roma, ritiene di esserlo se non nella forma di rappresentazione proposta dalla narrativa noir, e quindi nessuno si sentirebbe investito da nessuna scomunica, salvo appunto suonare le note del Padrino per accompagnare la bar o chiamarsi Re di Roma. O allora: giustissimo non negare le esequie a un criminale. Ma che messaggio evangelico sarebbe negarle allora a Welby? Perché – si dice- Welby, scegliendo la “dolce morte” (per sé) avrebbe agito contro la dottrina. Bene. Ma allora in quale parte della dottrina si dice che si può essere a capo di un'organizzazione di criminali che hanno a che fare con droghe, estorsioni, scegliere la morte degli altri e meritare l'Eterno Riposo? Siamo sicuri che il Padre Eterno ha previsto queste idiozie a geometria variabile? O andavano solo celebrate esequie in modo discreto per non consentire la celebrazione di simboli di potere? E celebrarle anche per Welby?

Come non ricordare quella penosissima sceneggiata imposta a Emma Bonino dal parroco della Chiesa degli Artisti a Roma alla morte di Mariangela Melato? L'attrice prima di morire aveva espresso che fosse Emma Bonino a ricordarla in chiesa. Il prete negò alla politica radicale l'ingresso per evitare che dicesse cose sconvenienti per la dottrina  cattolica. Renzo Arbore in quell'occasione rimediò un megafono e Emma ricordò l'amica sul sagrato della chiesa, con parole piene di coraggio affetto e sentimento, che ancora circolano ovunque.

E anche in quell'occasione la Chiesa perse molti fedeli ed è diventata sempre più pagana.

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Autrice televisiva, saggista, traduttrice. In Italia, oltre a Fanpage.it, collabora con Espresso.it. e Micromega.it. In Francia, per il portale francese Rue89.com e TV5 Monde. Esperta di media, comunicazione politica e rappresentazione di genere all'interno dei media, è stata consigliera di comunicazione di Emma Bonino quando era ministra delle politiche comunitarie. In particolare, per Red Tv ha ideato, scritto e condotto “Women in Red” 13 puntate sulle donne nei media. Per Donzelli editore ha pubblicato il saggio “Mamma” e per Rizzoli ha curato le voci della canzone napoletana per Il Grande Dizionario della canzone italiana. E' una delle autrici del programma tv "Splendor suoni e visioni" su Iris- Mediaset.
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