Bebe Vio è stata alla Casa Bianca. Il Presidente del Consiglio Matteo Renzi ha pensato (e lo pensano in tanti) che la giovane campionessa paralimpica e mondiale di fioretto sia l'immagine bella del Paese. Lei, Bebe, ci è arrivata con la freschezza dei suoi nemmeno vent'anni e quel sorriso troppo largo per starci nel protocollo: ha perso gli arti a 11 anni per una meningite fulminante ma ha capito subito che nella vita si vince con il cuore e con la testa. E il cuore, Bebe, ce l'ha allenato talmente bene da riuscire ad essere una maestra di ostinata curiosità, di bellezza e di vitalità. Così, in mezzo alla muffa dei protocolli e delle buone maniere di Stato lei ha soffiato vento: la sua foto con Obama, tutti e due chiusi a chiave in quello che "non si dovrebbe fare", è il torrente di Bebe. Del resto Bebe è la sacerdotessa del vento che scompiglia: «Ho sempre saputo che avrei potuto ricominciare a fare scherma – ha raccontato un giorno parlando della sua malattia – e quando l’ho chiesto ai medici mi hanno, diciamo, sputato in un occhio. Quando l’ho chiesto a quelli delle protesi, si sono messi a ridere. Però io fin da subito ho capito che sarei riuscita a ritornare.»
Il vento però, si sa, disturba i parrucconi. C'è un esercito di infelici professionali che ogni giorno hanno bisogno di mangiarsi qualcuno per riempirsi lo stomaco cattivo. Sono bande di individui incollati tra loro dal bisogno di macerare la bile di cui si nutrono, sono quelli che non sopportano la felicità perché sanno bene che livellare il resto del mondo all'infelicità è il gesto che richiede meno coraggio. Sì, perché ci vuole coraggio a essere felici già in generale e pensate quanti nodi in gola ha mandato giù Bebe. Pensate quanti ne mandiamo giù tutti, in fondo. In un Paese salubre Bebe Vio alla Casa Bianca è la favola di una principessa che tutti, sbagliando, hanno creduto fragile. E invece no. Anche oggi, per lei, sono toccati gli insulti: troppo facile, secondo i lupi, essere lì solo perché si è senza braccia e senza gambe. La scrivo cruda perché, giuro, l'hanno scritta così. Invidiosi delle disabilità degli altri gli avvoltoi si sono imbarcati in uno dei loro decolli più patetici e credendosi aquile hanno strisciato tutto il giorno come polli.
La colpa di Bebe Vio sarebbe stata quella di essere troppo felice. È colpevole di i avere provato i vestiti da indossare per la grande occasione con l'euforia di una diciannovenne, di avere scritto quanto sia stata ammutolita di fronte al Presidente degli Stati Uniti e di avere voluto condividere l'emozione di essere arrivata ancora una volta lì dove gli altri non riescono nemmeno a immaginare. I sogni che si avverano delle persone pulite di cuore sono gli incubi peggiori dei rimestatori di disperazione e rabbia. "Ma come si permette di essere felice?" hanno urlato i parrucconi sdegnati. "Ma come si permette di raccontarci la sua felicità, di non contenerla come se fosse un lutto?". E via con i soliti peana.
Sai cara Bebe, e lo sai meglio di noi, che ogni volta che sorridi troppo fragorosamente sbucano dappertutto i pervicaci ripristinatori del grigio ma la tua forza è la vittoria più importante per noi. Più delle medaglie che forse ne sono solo la naturale (e sportiva) conseguenza. Poi bisognerebbe spiegare a questi che la tua felicità non è una protesi, come vorrebbero, ma sei tu. Semplicemente. Ma temo che questi non lo capirebbero mai. Perché la sensibilità non si avvita. Se non sgorga non ci sono interventi da prenotare.