Caporalato, indagata la moglie del capo del dipartimento Immigrazione del Viminale che si dimette
È indagata per intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro la moglie del capo del Dipartimento per le libertà civili e immigrazione del Viminale, già prefetto di Reggio Calabria, Michele di Bari. Il suo nome è stato iscritto nel registro degli indagati, insieme a quello di altre 15 persone, in un'inchiesta per caporalato della procura di Foggia. L'indagine, condotta dai carabinieri della città pugliese, ha portato all'arresto di cinque persone, due delle quali in carcere. Di Bari dopo la notizia ha rassegnato le proprie dimissioni.
Per gli altri 11 indagati, tra i quali appunto la moglie del prefetto Di Bari, è scattato l'obbligo di firma. L'indagine denominata "Sotto padrone", ha portato alla verifica di oltre dieci aziende agricole riconducibili ad alcuni degli indagati, tra luglio e ottobre 2020. Ed è di una di queste aziende che la moglie di Di Bari è socia amministratrice. Secondo quanto emerso in questi mesi, i lavoratori delle aziende erano costretti ad accettare vere e proprie condizioni di sfruttamento: si tratta principalmente di braccianti extracomunitari provenienti dall'Africa, impiegati a lavorare nelle campagne della Capitanata, tutti "residenti" nella nota baraccopoli di Borgo Mezzanone, accampamento che ospita circa 2mila persone che vivono in precarie condizioni igienico-sanitarie e in forte stato di bisogno.
Ed è in questa baraccopoli che le due persone arrestate selezionavano i braccianti quando i rappresentanti delle varie aziende chiedevano forza lavoro: erano dunque l'anello di congiunzione tra i lavoratori e le aziende stesse. Gli stessi poi provvedevano ad accompagnare i braccianti al lavoro e a sorvegliarli durante il proprio turno, pretendendo 5 euro per il trasporto e altri 5 euro da ogni bracciante per l'attività di intermediazione. "Caporali, titolari e soci delle aziende avevano messo in piedi un apparato quasi perfetto – hanno spiegato i carabinieri – che andava dall'individuazione della forza lavoro necessaria per la lavorazione dei campi, al reclutamento della stessa, fino al sistema di pagamento, risultato palesemente difforme rispetto alla retribuzione stabilita dal Ccnl, nonché dalla tabella paga per gli operai agricoli a tempo determinato della provincia di Foggia". Nelle buste paga veniva indicato un numero di giornate lavorative inferiore a quello effettivo che non teneva conto dei riposi e delle altre giornate di ferie spettanti. Per il gip di Foggia "Gli indagati sono risultati adusi all'utilizzo e allo sfruttamento di manodopera extracomunitaria a basso costo, hanno dato dimostrazione di una elevata "professionalità" nell'organizzare l'illecito sfruttamento della manodopera e hanno palesato una non comune capacità operativa e una sicura impermeabilità al rispetto delle regole
In questo quadro generale, anche Rosalba Livrerio Bisceglia, moglie del prefetto Michele di Bari, era "consapevole delle modalità delle condotte di reclutamento e sfruttamento", scrive il gip di Foggia nell'ordinanza. Secondo qui inquirenti, infatti, nella sua azienda impiegava "manodopera costituita da decine di lavoratori di varie etnie" per la coltivazione dei campi "sottoponendo i predetti lavoratori alle condizioni di sfruttamento" desumibili "anche dalla condizioni di lavoro (retributive, di igiene, di sicurezza, di salubrità del luogo di lavoro) e approfittando del loro stato di bisogno derivante dalle condizioni di vita precarie". Secondo l'inchiesta, la donna ,
trattava direttamente con Bakary Saidy, uno dei due caporali finiti in carcere. L'uomo si occupava di portare nei campi i braccianti dopo averli reclutati "in seguito alla
richiesta di manodopera avanzata da Livrerio Bisceglia, che comunicava telefonicamente il numero di lavoratori necessari sui campi". Lavoratori "assunti tramite documenti forniti dal Saidy" che per questo "riceveva il compenso da Livrerio Bisceglia" scrive il Gip.
"La notizia dell’avvenuto blitz la notte scorsa a Manfredonia e in altri comuni della provincia di Foggia in una operazione di contrasto al caporalato ci riempie di sgomento – il commento di Giovanni Mininni, Segretario Generale Flai Cgil nazionale – si susseguono i casi in cui il fenomeno viene contrastato dalle forze dell’ordine senza che però nulla avvenga in termini di contrasto preventivo, con i mezzi che esistono e sono previsti dalla Legge 199. Questo ennesimo episodio, che ci racconta di lavoratori pagati 5 euro a cassone di pomodori e costretti a lavorare dalla mattina alla sera, dimostra la necessità di intervenire con controlli sulle condizioni di lavoro e applicazione dei contratti, con azioni su alloggi e trasporto, i nodi, cioè, su cui si sviluppa il caporalato e lo sfruttamento da parte di intermediari e datori di lavoro senza scrupoli".