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Cannabis terapeutica: in Italia si può se hai i soldi e la pazienza di soffrire

Solo nove regioni hanno recepito le norme nazionali che dal 2007 hanno reso legittimo il ricorso alla cannabis terapeutica. Limiti burocratici allungano i tempi di attesa fino all’anno, mentre i costi – spesso – sono troppo elevati.
A cura di Redazione
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Legittimo dal 2007, il ricorso alla cannabis terapeutica di fatto è fortemente limitato da ostacoli economici, burocratici e normativi. Il paziente deve spesso percorrere un iter che inizia con il medico di base e arriva alla distribuzione del farmaco solo dopo il passaggio per l'azienda ospedaliera, il Ministero della Salute, l'acquisto all'estero e la conseguente importazione. A volte ci vuole un anno prima che la cannabis giunga al paziente e possa lenirne finalmente i dolori. La reale accessibilità al farmaco a base di cannibinoidi è stato il tema al centro del dibattito promosso dalle associazioni "Luca Coscioni" e "A Buon Diritto" tenutosi presso la sala convegni di Palazzo Santa Maria in Aquiro nel Senato. Durante l'incontro è stato presentato un dossier sul tema dal senatore Luigi Manconi, autore di una proposta di legge che ha l'obiettivo di rimuovere gli ostacoli che limitano l'accesso al farmaco.

Differenze regionali. Secondo le norme vigenti, il ricorso alla cannabis terapeutica è legittimo, ma sono le singole regioni che devono poi decidere se far carico il Servizio Sanitario Razionale delle cure dei pazienti. A differenza della legalizzazione della cannabis a scopo ricreativo, l'uso medico è stato dunque approvato da tempo. Ad oggi, però, le regioni che hanno disciplinato l'argomento sono nove (Sicilia, Puglia, Abruzzo, Umbria, Marche, Toscana, Liguria, Veneto e Friuli Venezia Giulia), ognuna delle quali ha curato l'argomento in maniera diversa. Mentre in alcuni casi ci si limita al recepimento della legge nazionale, in altri si entra nel dettaglio, con relativa pianificazioni di corsi di aggiornamento per il personale medico e previsioni di progetti pilota per la coltivazione a scopi terapeutici.

Costi di importazione. Un altro problema, del resto, è proprio l'assenza di aziende che producano in Italia e distribuiscano farmaci a base di cannabinoidi. Un limite che si traduce in tempi di attesa più lunghi e in costi molto più elevati. Il Ministero della Salute ha rilasciato 213 autorizzazioni all'importazione della cannabis nel corso del 2013, il che equivale a circa sessanta pazienti se si considera che i dosaggi permessi per ogni autorizzazione possono coprire al massimo tre mesi di cure (ogni paziente, dunque, necessita di quattro autorizzazioni all'anno).

Proposte. Per superare il problema rappresentato dagli elevati costi dei farmaci, alcuni pazienti hanno sperimentato l'autocoltivazione, trovandosi sempre costretti a chiudere l'esperienza e talvolta in stato di arresto. Altri guardano a mercati non disciplinati da un medico, come quello online o quello del circuito delle amicizie personali. Nella proposta di legge di Luigi Manconi si contempla la possibilità che gli stessi pazienti auto-producano la quantità di marijuana necessaria per la propria terapia. Le associazioni "Luca Coscioni" e "A Buon Diritto" propongono una soluzione che sposta il centro di produzione dalla serra di casa ad un soggetto medico centrale e riconosciuto. Secondo i due enti basterebbe un protocollo siglato da Ministero della difesa e Ministero della salute perché venga assegnato allo Stabilimento chimico farmaceutico militare di Firenze – già produttore di diversi farmaci – la coltivazione e distribuzione della cannabis terapeutica.

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