Mentre in tutto il mondo si normalizza l’approccio alla cannabis, che sia per utilizzo ricreativo, medico o agro-industriale, in Italia il tentativo costante è quello di riportarci al Medioevo e assistiamo a scontri ideologici basati sul pregiudizio che sono lontani anni luce dalla realtà che questa pianta sta vivendo a livello internazionale.
Se in tutto il resto del mondo si discute nel merito delle proposte, analizzando i dati di ciò che sta accadendo oltreoceano con le legalizzazioni in USA e Canada, da noi, un unicum in Europa e nel resto del mondo, ogni argomentazione è bloccata da una destra retrograda e antistorica, che continua a ripetere gli stessi slogan che andavano di moda in America negli anni ’30. “La cannabis è la porta di ingresso alle altre droghe” o “fa i buchi nel cervello”. Mentre nel resto del mondo si parla di dati e studi scientifici, noi ci affidiamo alle intemerate analisi politiche di Gasparri (“E’ un attentato alla Costituzione”, disse del tentativo di regolamentare la canapa a basso contenuto di THC), o alle uscite di Salvini (“No allo stato spacciatore”). Un’oscurantista caccia alle streghe che si traduce in una crociata moderna che vede una sola vittima: noi cittadini.
L’esempio che rende al meglio la situazione attuale è questo: mentre in Malesia, paese con le leggi più restrittive al mondo in fatto di stupefacenti che possono portare alla pena di morte, il governo ha proposto di depenalizzare l’uso personale, in Italia, paese civile nel cuore della progressista Europa, proponiamo (con un governo che doveva essere il più a sinistra della storia repubblicana!) l’arresto immediato con custodia cautelare in carcere per chi spaccia piccole quantità di stupefacenti, che significherebbe continuare a mettere in galera i consumatori o i piccoli spacciatori, lasciando liberi i narcotrafficanti di continuare a guadagnare miliardi di euro l’anno sulla nostra pelle.
Nel frattempo, il massimo organismo per quanto riguarda le politiche sanitarie, e cioè l’OMS, ha messo nero su bianco che per anni l’occidente si è sbagliato a non prendere in considerazione le enormi evidenze mediche della cannabis, chiedendo che venga riclassificata a livello internazionale, mentre l’ONU, così come l’Associazione Nazionale Antimafia italiana, continuano a cercare di incoraggiare approcci che vadano verso la legalizzazione della cannabis, perché tutti sono ormai concordi nell’affermare che la guerra alla droga ha fallito, e continuare su questa strada significa alimentare un cortocircuito che vede gli stati spendere miliardi di euro per contrastare un fenomeno che non fa che crescere, con buona pace delle salute dei giovani che si vorrebbero tutelare mentre le mafie si fregano le mani e vendono cannabis di pessima qualità con la tranquillità del monopolio.
"Il ministro dell'interno Luciana Lamorgese ha annunciato una nuova norma per colpire con il carcere piccoli spacciatori in possesso anche di una modica quantità di sostanze stupefacenti. Con questo provvedimento continua una finta lotta alle mafie che se la prende sempre con i ‘pesci piccoli' e lascia indisturbati i grandi narcotrafficanti. Più proibiscono più aiutano le mafie, più incarcerano più creano criminalità!”, hanno scritto i Radicali. Lo stesso pensiero espresso ieri in aula da Riccardo Magi, che fa parte dei Radicali ed è deputato del gruppo misto, che ha ricordato: "Un terzo dei detenuti nelle nostre carceri – che scoppiano! – lo sono per violazione del testo unico sugli stupefacenti. La guerra alle droghe ha fallito, le politiche proibizioniste hanno fallito, e questo è sotto gli occhi di tutti". Secondo Magi, "per ridurre lo spaccio e il giro d'affari della criminalità organizzata sul traffico degli stupefacenti dobbiamo riportare nella legalità milioni di italiani che fanno uso di cannabis e vorrebbero poterla acquistare legalmente, senza dover finanziare le mafie. Dobbiamo diffondere informazione e consapevolezza. Mentre secondo Riccardo De Vito, presidente di Magistratura democratica, “Prevedere la custodia in cautelare per tali reati – in non meglio precisate ipotesi di recidiva – significa ancora una volta ignorare l’inutilità della risposta carceraria a questo problema”.
Non solo, perché il punto della questione è che l’Europa potrebbe avere il mercato della cannabis più grande al mondo, ed è solo questione di tempo prima che uno dei paesi membri faccia la prima mossa. Secondo Prohibition Partners, gruppo di analisti indipendenti di settore, se tutti i paesi europei legalizzassero la cannabis potremmo avere un mercato del valore di 123 miliardi di euro (divisi tra ricreativo e medico) entro il 2028. E le reazioni non stanno tardando ad arrivare. In Spagna il dibattito è sempre vivo e Podemos aveva rilanciato l’idea nelle ultime elezioni. In Olanda, dove la cannabis è tollerata ma non legale, stanno ragionando su una legge per normare la produzione. In Portogallo hanno depenalizzato il consumo personale di tutte le sostanze nel 2001. Ma le ultime aperture arrivano dal Lussemburgo, dove il governo ha annunciato di studiare le legalizzazioni oltreoceano per prenderne spunto, dalla Germania dove membri del partito di Angela Merkel hanno aperto alla legalizzazione e infine dalla Croazia. Qui Martina Holy ha proposto una legge che renderebbe legale la coltivazione di 9 piante per i maggiorenni, annunciano una discussione nel paese che precederà quella parlamentare.
“Quando ho iniziato a parlarne qualche anno fa, le reazioni sono state terribili, ma le cose sono cambiate. Le persone hanno bisogno di essere educate e quindi cambiare il loro atteggiamento. Il potenziale di dipendenza della cannabis è inferiore al potenziale di dipendenza della nicotina o dell’alcool e, per quanto ne sappia, nessuna persona è morta a causa di un’overdose di cannabis naturale, eppure esistono grandi pregiudizi, motivati dagli interessi di determinati gruppi e industrie”, ha sottolineato la Holy in un’intervista televisiva.
Parole che vorremmo sentire anche dai nostri politici, impegnati più a seguire un giustizialismo anacronistico e il proprio tornaconto elettorale, piuttosto che a pensare al bene della comunità che dovrebbero amministrare.