Si sente spesso dire che, fino agli anni ’50 del 1900, eravamo considerati i primi produttori mondiali per la qualità della canapa che i nostri agricoltori riuscivano a produrre: ciò che non viene mai detto è che l’orgoglio della nostra canapa nazionale era la fibra tessile, che oggi non produciamo più.
Complice la diffusione delle fibre sintetiche e la mancata meccanizzazione delle operazioni di raccolta e lavorazione, oggi infatti in Italia non esiste una produzione di canapa tessile. Il prodotto dal forte valore aggiunto per gli agricoltori, considerato per secoli come “oro verde”, che era una presenza fissa nelle case di moltissimi italiani sotto forma di lenzuola, biancheria, panni, stracci, cordame e abiti e che ha fatto il giro del mondo sotto forma di vele e calatafaggi (tecnica per isolare gli scafi) su navi gloriose come le caravelle che portarono Cristoforo Colombo in America o sulla rinomata flotta britannica, oggi non esiste più.
In passato ci sono stati alcuni tentativi di riavviare questo tipo di filiera, che si sono però conclusi con un nulla di fatto. L’ultimo, in ordine di tempo, è quello tentato da un consorzio creato per l’occasione, tra la fine degli anni ’90 e primi 2000, che avrebbe dovuto fare della Fibranova, varietà italiana di canapa industriale, l’apripista per ciò che sarebbe dovuta diventare la canapa tessile italiana 2.0. Un consorzio di tutto rispetto al quale inizialmente aveva partecipato anche Giorgio Armani e il Linificio e Canapificio nazionale che oggi fa parte del gruppo Marzotto. Nonostante il fallimento del progetto il linificio ancora oggi lavora circa 50 tonnellate l’anno di canapa tessile che proviene dalle circa 400 tonnellate che erano state allora prodotte.
L’interesse per la canapa industriale è sempre molto forte: da tessuto tradizionale potrebbe diventare il filato del futuro anche per il forte valore ambientale della coltivazione in sé. La canapa infatti è una pianta annuale che assorbe 4 volte la CO2 media che viene tolta dagli alberi dall’atmosfera e richiede pochissimi pesticidi (quando necessari) e acqua, al contrario del cotone che è considerata tra le colture più inquinanti del pianeta e che assorbe enormi quantitivi d’acqua per la coltivaizone e la successiva lavorazione. Inoltre come tessuto naturale è tra i più resistenti che ci siano e riesce a mantenere le caratteristiche della pianta, come quella di regolare l'umidità del corpo, di mantenere il calore di inverno e lasciarlo disperdere in estate, oltre alle proprietà antibatteriche proprie di questo vegetale.
L'impianto mobile per la raccolta e la stigliatura
Un possibile soluzione arriva da un cambio di visione. Se fare un impianto fisso può essere molto costoso e soprattutto gli imprenditori non avrebbero la garanzia di recuperare l’investimento, visto che servirebbero alti volumi di canapa da lavorare e le coltivazioni sparse in tutto il paese non potrebbero garantirlo a meno di grandi spostamenti delle rotoballe di canapa che avrebbero comunque dei costi, la soluzione è stata quella di creare un impianto mobile. E’ il progetto di Tecnocanapa, che inaugurerà a breve questo impianto, pensato per raggiungere gli agricoltori in loco, fare le lavorazioni necessarie e spostarsi verso la tappa successiva.
La rotoballa di canapa sarebbe quindi stigliata sul posto, separando il canapulo – parte legnosa di scarto che viene utilizzata in bioedilizia – e la fibra che potrà quindi essere lavorata in azienda, oppure spedita per essere successivamente macerata, cardata e raffinata.
All’impianto mobile se ne aggiunge uno fisso, in Toscana, che potrà svolgere le operazioni necessarie ad avere il filato, come la macerazione.
Canapa per le lavorazioni no food
Un altro progetto è stato ideato nelle Marche per valorizzare i settori della canapa tessile, della carta, delle bioplastiche e poi per la bioedilizia e la fitodepurazione. Capofila del progetto, per il quale è attesa l’approvazione ad ottobre all’interno del Psr regionale, è l’azienda agraria di Antonio Trionfi Honorati, che da anni si dedica alla coltivazione di questo vegetale. E’ un progetto che coinvolgerebbe l’ENEA (l'agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l'energia e lo sviluppo economico) per la bioedilizia, l’Università di Ancona per la fitodepurazione dei terreni, il Linificio e canapificio di Bergamo per il tessile insieme ad un’azienda umbra per la meccanizzazione delle operazioni, oltre al comune di Fabriano per la carta e all’Università di Camerino. Per quanto riguarda il tessile l’idea è quella di creare un centro di stigliatura in cui gli agricoltori possano svolgere le operazioni di stigliatura e pettinatura con delle varietà di canapa coltivate appositamente per questo scopo.
Intanto, nonostante la mancanza di canapa tessile made in Italy, ci sono aziende che la lavorano, importandola dall’estero con l’idea di far rivivere questo tessuto ai giovani che sembrano averlo dimenticato, mentre gli anziani lo custodiscono nella loro memoria. E’ il caso ad esempio di stiliste e modelliste come Francesca Tronca e Fiorella Ciaboco, che utilizzano proprio i filati di canapa per le loro creazioni, o di Opera Campi, azienda creata da un gruppo di giovani che, dopo aver ritrovato un filato in canapa del 1700, stanno lavorando per farla tornare realtà. L’ultimo progetto, lanciato con una raccolta fondi su Kickstarter, è stato quello di creare un tessuto in canapa al 92% con il restante 8% in lycra, per aumentarne l’elasticità e renderlo più gradevole al tatto e alla vista.
Mentre in Italia il dibattito è concentrato sulle infiorescenze di cannabis light e i problemi normativi che la politica stenta a risolvere, se tutto va bene tra poco potremo avere nuovamente un prodotto che potrebbe essere il volano per l’industria italiana della canapa, dopo una pausa durata 70 anni.