Caltanissetta, Adnan ucciso per aver difeso le vittime del caporalato: “Era buono e coraggioso”
Le telecamere di Fanpage.it sono andate a Caltanissetta per raccontare la drammatica vicenda che ha coinvolto la comunità nissena, con l'omicidio di Adnan Siddique, un uomo pakistano di 32 anni, la notte del 3 giugno. Incontriamo Alì, amico di Adnan. Ha raccontato a fanpage.it che qualche giorno prima della morte di Adnan, ha ricevuto un messaggio vocale davvero misterioso:"Se mi succede qualcosa, loro sono i colpevoli".
Camminiamo lungo la via San Cataldo -"Era un bravo ragazzo – si sente dal balcone". Sono i vicini di casa che hanno voluto ricordare il giovane pakistano, sempre con il sorriso sulla bocca. "Ha fatto una brutta morte – si sente ancora in quella via assordante – non meritava di morire così, hanno detto i vicini". La città di Caltanissetta è ancora scossa e allarmata da un fatto che conferma quanto la violenza sia radicata nel mondo del lavoro agricolo. Un sistema che sfrutta migliaia di lavoratori, rendendoli schiavi. Adnan Siddique sarebbe stato al fianco di alcuni suoi connazionali che lavoravano in campagna, e che sarebbero vittime del caporalato. Dall'autopsia è emerso che la vittima è stata colpita con cinque coltellate in diverse parti del corpo: due alle gambe, uno alla schiena, alla spalla e al costato. Quest'ultimo e' risultato quello fatale. I carabinieri, poche ore dopo il delitto, hanno trovato anche il coltello, lungo 30 centimetri, utilizzato dai presunti assassini.
Le prime denunce
Lungo la via San Cataldo, abbiamo incontrato la famiglia Di Giugno, che gestisce un bar, dove Adnan si fermava spesso a parlare con loro, fino a creare una splendida amicizia tanto da chiamare "Mamà" la signora Rita. "Questi signori hanno portato via un amico per i miei figli – ha detto Rita – e un figlio per me, ero una madre per lui, non posso dimenticarmi tanti gesti bellissimi che ha fatto nei confronti della famiglia – continua – e devono pagare perché hanno perseguitato da almeno un anno questo ragazzo". Aveva tanti sogni, sposare una donna italiana, trasferirsi per lavoro insieme a mio figlio – continua Rita – comprarsi una bella macchina, era una persona davvero buona". Anziani, bambini, animali, lui aiutava chiunque. Conclude – Attraverso Enti, faremo in modo di avviare una raccolta fondi per il trasferimento del corpo alla madre in Pakistan".
Già minacciato e aggredito
Manutentore di macchine tessili a Caltanissetta, "Aveva già ricevuto in passato minacce e aggressioni, racconta l'amico fraterno Erik – è capitato che gli hanno rotto la testa e ha subìto anche un furto, dove gli hanno portato via tutto e, nonostante questo, il giorno successivo era andato a lavoro in pigiama perché era fiero di ciò che stava costruendo".Spero che la verità venga a galla – conclude Erik – e spero che le persone paghino per quello che gli hanno fatto".
Al momento sono stati fermati cinque pakistani per l'omicidio del giovane. Si tratta di Muhammad Shoaib, 27 anni, Alì Shujaat, 32 anni, Muhammed Bilal, 21 anni, e Imrad Muhammad Cheema, 40 anni e il connazionale Muhammad Mehdi, 48 anni, arrestato per favoreggiamento, tutti interrogati ieri dal gip Gigi Omar Modica. I primi quattro rimangono in carcere mentre il quinto è stato rimesso in libertà ma con l'obbligo di firma. Un’altra persona è stata fermata questa mattina, su provvedimento della Procura di Caltanissetta, polizia e carabinieri hanno fermato un pakistano di 20 anni, Shariel Awan Muhammed con l’accusa di concorso in omicidio. Indagando su alcuni soggetti della comunità pakistana che da tempo si sono stabiliti a Caltanissetta e in provincia, la polizia avrebbe raccolto gravi elementi nei confronti del ventenne; per gli investigatori il delitto sarebbe stato commesso da un vero e proprio commando. Secondo la ricostruzione dei carabinieri Adnan, che per lavoro si occupava di riparazione e manutenzione di macchine tessili, aveva presentato denuncia per minaccia nei confronti dei suoi carnefici. Sta prendendo piede anche l'ipotesi che gli aggressori operassero una mediazione, per procacciare manodopera nel settore agricolo, tra datori di lavoro e connazionali. In cambio avrebbero trattenuto una percentuale sulla loro paga.
"Non meritava di morire così"
Successivamente al misterioso messaggio vocale di Adnan ai suoi amici connazionali:"Se mi succede qualcosa, loro sono i colpevoli", chiama i genitori di Adnan e, attraverso una videochiamata, sentiamo parole spezzate in pakistano, tradotte da Alì:"Siamo distrutti, non ci sembra ancora vero" – dicono i genitori di Adnan. La madre piange in continuazione, l'unica cosa che desidera è riavere il corpo del figlio in Pakistan. "Adnan – racconta Alì – era una persona gentile, buona e speciale, aiutava tutti, forse questo è stato il suo ultimo sbaglio. Conclude Alì – Noi non vogliamo che questa gente delinquente entri a Caltanissetta, perché questo è un Paese civile, che paghino in Pakistan perché in Italia non gli fanno niente".