Il sigaro di Luciano Moggi era in cima alla Cupola di Calciopoli. L’ex Dg della Juventus era la “figura apicale” del sodalizio che ha condizionato i campionati di serie A di calcio fino al 2006. La circostanza trova conferma nelle circa 250 pagine di motivazioni della sentenza emessa il 17 dicembre scorso dalla VI sezione della Corte d’Appello di Napoli (presidente Silvana Gentile, giudice relatore Cinzia Apicella). Le motivazioni, appena depositate, ribadiscono il ruolo di Moggi come “ideatore del sodalizio” in grado di esercitare “un ruolo preminente sugli altri sodali" coinvolti in Calciopoli in virtù anche "di una spregiudicatezza non comune". Moggi è condannato in Appello per associazione a delinquere a 2 anni e 4 mesi. Per lo stesso reato di associazione a delinquere sono stati condannati anche l'ex vicepresidente della Federazione Italiana Giuoco Calcio (Figc) Innocenzo Mazzini e l'ex designatore arbitrale Pierluigi Pairetto a 2 anni con pena sospesa. Inflitti inoltre dieci mesi con pena sospesa per gli ex arbitri Bettini e Dattilo e un anno con pena sospesa a De Santis. Alcune condanne sono state ridotte in maniera consistente rispetto alla sentenza di primo grado (a Moggi erano stati inflitti 5 anni e 4 mesi) grazie alla prescrizione di numerose ipotesi di reato. Prescrizione alla quale hanno rinunciato alcuni imputati, ovvero i ‘fischietti’ coinvolti nel sistema (qui la sentenza d'appello Calciopoli in pdf).
Secondo i magistrati della Corte d’Appello, Moggi aveva una “personalità decisa, ma al contempo concreta e priva di filtri nell'esporre le sue decisioni”. Ed emergeva “anche per la sua capacità di porre in contatto una molteplicità di ambienti calcistici fra loro diversi e gestirne le sorti con una spregiudicatezza non comune". Per i giudici di secondo grado "la figura assolutamente apicale nel sodalizio di Luciano Moggi appare certa e inequivocabile”. Come sottolineano le motivazioni della condanna, Moggi “non solo ha ideato di fatto lo stesso sodalizio, ma ha anche creato i presupposti per far sì di avere un'influenza davvero abnorme in ambito federale". La sentenza fa riferimento alla "peculiare capacità di Moggi di avere una molteplicità di rapporti a vario livello con i designatori arbitrali fuori dalle sedi istituzionali, ai quali riusciva a imporre proprie decisioni, proprie valutazioni su persone e situazioni (come nel caso delle trasmissioni televisive soprattutto valutative sulla condotta dei singoli arbitri) coinvolgendoli strettamente così nella struttura associativa e nel perseguimento della comune illecita finalità". "Appaiono eclatanti – si legge nella sentenza – le diverse incursioni di Moggi, assieme a Giraudo, negli spogliatoi di arbitri e assistenti". In particolare i giudici rievocano il caso Paparesta. Moggi era furioso nei suoi confronti dopo Reggina-Juventus del 7 novembre 2004. E l’arbitro, si legge nelle motivazioni, era talmente intimorito da Moggi che omise di fare menzione dell’aggressione subìta nel referto.