“Bugiarde e false”, mamma perseguita psicologa e assistente sociale che devono decidere su affidamento
Ha diffamato per settimane con post social la psicologa e l'assistente sociale chiamate ad esprimersi sulla sua idoneità genitoriale per l’affidamento della figlia nell’ambito della causa di separazione dal marito, arrivando a pedinarle e minacciarle. Per questo una donna è stata condannata in via definitiva a un anno e se mesi per atti persecutori e diffamazione.
Nessuno sconto di pena dunque per la donna, classe 1973, che, nel tentativo di condizionare e screditare il lavoro della psicologa, ha pubblicato su diversi social post nei quali accusava la professionista di essere collusa e protetta dalla mafia e di formulare perizie false. Lo stesso trattamento, poi sfociato in pedinamenti e appostamenti, lo ha riservato all’assistente sociale.
La Cassazione ha così confermato la condanna, secondo i giudici infatti gli "appostamenti e pubblicazione di post dal chiaro contenuto minatorio", pubblicati quasi ogni giorno, ha rappresentato "la condotta materiale di molestia e/o minaccia" descritta dall’articolo 612 bis del codice penale sullo stalking.
La Suprema corte ha inoltre ricordato che, come sottolineato dalla Corte d’Appello, "anche le sole pubblicazioni di post su svariati social network sono sufficienti, da sole, a integrare il reato di atti persecutori". Quanto ai post pubblicati, la Cassazione inoltre ha rilevato che erano connotati da "virulenza e ossessiva ripetitività", oltre che dal carattere “minatorio”.
Senza successo la difesa della donna, una signora di 48 anni, che ha protestato contro la condanna inflittale in primo grado e poi convalidata dalla Corte di Appello di Milano con sentenza dell'8 giugno 2022. Davanti agli ‘ermellini' ha sostenuto che non era stato tenuto nella giusta considerazione il "fine sociale" che avrebbe animato la sua "battaglia civile".