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Bruno Caccia: con lui imparammo a dire ‘ndrangheta con l’accento del nord

Bruno Caccia è uno di quei segnalibri che incolliamo all’inizio di un capitolo importante, quando ci costringiamo a non permetterci di dimenticare, e oggi siamo andati a prendere quella pagina. L’arresto è solo una parte della giustizia. Se è vero che la sentenza oggi potrebbe avere una nuova luce è altresì importante che quella storia non rifinisca ancora appallottolata dentro qualche cassetto. Perché a Torino, nel 1983, si moriva di mafia. Di sera a passeggio con il cane.
A cura di Giulio Cavalli
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L'omicidio di Bruno Caccia fu il colpo grosso della ‘ndrangheta al nord. Mai si era spinta così in là la furia omicida in quelle regioni dove conviene stare sotto coperta per mimetizzarsi piuttosto che fare rumore, e l'omicidio di un Procuratore capo in una città come Torino era un segnale di guerra. Senza dubbio. Bruno Caccia è stato ucciso il 26 giugno del 1983, durante una passeggiata sotto casa sua così come morì Ambrosoli e tanti di quelli che sono morti in quei quartieri in cui non si sarebbe immaginato uno sparo di mafia nemmeno negli incubi peggiori. Eppure morire a Torino, in via Sommacampagna, sotto la frustata di dodici colpi era la campana che suonava il coprifuoco: la ‘ndrangheta piemontese non sopportava interferenze.

Non posso non pensare a come Gian Carlo Caselli, nelle numerose volte in cui ci siamo ritrovati a commemorare questo magistrato coraggioso, ne sottolineasse la serietà, la rigidità, l'amore per la giustizia e l'etica della legge. Si muore perché si è credibili, di mafia al nord. E ricordo quante volte ho riflettuto su una storia che, chissà perché, sembra non avere mai avuto lo slancio per essere un monito, per essere sventolata a chi ancora trent'anni dopo finge di non vedere, di non sapere o di non capire. Bruno Caccia è stato ricordato nel modo più vivo dai ragazzi di Libera e Amos che a San Sebastiano Po, nella casa che fu del boss Mimmo Belfiore, hanno aperto "cascina Caccia", luogo aperto di attività culturale, antimafia e agricola. Quel bene confiscato sicuramente è uno dei mazzi di fiori più belli appoggiati sulla tomba di un uomo che ha pagato la propria lungimiranza, il suo vedere quello che gli altri non volevano vedere. E non è un caso, per chi avesse voglia di andare a ripescare la storia, che proprio uomini vicino al clan Belfiore avessero in gestione proprio il bar sotto la Procura. L'omicidio di Bruno Caccia ci ha chiesto, già da allora, di essere vigili e invece come spesso accade noi ce ne siamo dimenticati per 30 anni.

Sarebbe bello prendere il sano vizio di ricordare i morti da vivi, soprattutto se morti perché hanno deciso di tenere la testa alta, e allora mi piace pensare, il giorno dell'arresto di Rocco Schirripa come presunto killer, che oggi siano in molti a cercare la storia di questo procuratore solitario e silenzioso, che anche i più giovani vedano quanto è antico questo male che ancora qualcuno si ostina a minimizzare e soprattutto a quanto costi, in questo Paese, talvolta essere giusti. Ecco, mi piace pensare, che oggi sia un giorno di pratica di memoria piuttosto che di commemorazioni, un giorno di esercizio dei muscoli del ricordo e della curiosità perché davvero non ci si possa permettere di lasciare nessuno indietro. Nessuno dei morti e nemmeno nessuno dei vivi: oggi sono ancora troppi gli uomini di legge, d'amministrazione o di cultura lasciati soli nella loro battaglia contro un nemico che viene additato come immaginario.

Bruno Caccia è uno di quei segnalibri che incolliamo all'inizio di un capitolo importante, quando ci costringiamo a non permetterci di dimenticare, e oggi siamo andati a prendere quella pagina. L'arresto è solo una parte della giustizia. Se è vero che la sentenza oggi potrebbe avere una nuova luce è altresì importante che quella storia non rifinisca ancora appallottolata dentro qualche cassetto.

Perché a Torino, nel 1983, si moriva di mafia. Di sera a passeggio con il cane.

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Autore, attore, scrittore, politicamente attivo. Racconto storie, sul palcoscenico, su carte e su schermo e cerco di tenere allenato il muscolo della curiosità. Collaboro dal 2013 con Fanpage.it, curando le rubriche "Le uova nel paniere" e "L'eroe del giorno" e realizzando il format video "RadioMafiopoli". Quando alcuni mafiosi mi hanno dato dello “scassaminchia” ho deciso di aggiungerlo alle referenze.
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