Brigandì destituito dal Csm, a ottobre partirà il processo per abuso d’ufficio
E' stato destituito ieri dal suo ruolo di consigliere laico del Csm, Matteo Brigandì, della Lega Nord. La decisione della destituzione dalla carica arriva con 19 sì e 3 no, mentre 2 membri del Csm si sono astenuti. La ratio alla base di tale provvedimento risiederebbe nel non fatto che Brigandì non si sia dimesso per tempo dal ruolo di amministratore della Fin Group, pur essendo a conoscenza dell'incompatibilità della carica del Csm con il ruolo di amministratore che Brigandì svolgerebbe presso la Fin Group.
La legge, infatti, prevede che i consiglieri del Csm non possono, al medesimo tempo, far parte del consiglio di amministrazione di una società commerciale. Brigandì ha accolto il verdetto con amarezza, commentando di essere "vittima di una punizione esemplare" e durante il suo intervento al Csm ha tentato di dimostrare che la società di cui fa parte non avrebbe natura commerciale. Si riferirebbe alla vicenda dell'acquisizione di documenti sulla procuratore aggiunto Ilda Boccassini, per il quale Brigandì è indagato.
Qualche giorno dopo lo scandalo sul caso Ruby, scoppiato il 14 gennaio, Matteo Brigandì si rivolge al funzionari che gestiscono la sezione disciplinare del Csm, per aquisire dei documenti sul procuratore aggiunto Ilda Boccassini. Brigandì cerca testimonianze di fatti avvenuti negli anni '80. Erano gli anni di piombo, gli anni del terrorismo rosso e nero in cui la Boccassini fu beccata mentre si concedeva ad atteggiamenti amorosi con un giornalista di Lotta Continua nei pressi del Palazzo di Giustizia. Come si legge dagli atti del Csm l'accusa fu quella di "aver mancato ai propri doveri, per aver tenuto fuori dell’ufficio una condotta tale da renderla immeritevole della considerazione di cui il magistrato deve godere, così pure compromettendo il prestigio dell’ordine giudiziario". Un'accusa per cui, un anno dopo, la Boccassini verrà assolta in toto e proprio in virtù del suo diritto alla privacy.
Nonostante l'assoluzione, Matteo Brigandì si mette in cerca di tali documenti che trasmette a Il Giornale, Anna Maria Greco scrive il pezzo e sul procuratore aggiunto scoppia la bufera. L'abuso d'ufficio di Brigandì, però, non resta privo di conseguenze e il 31 ottobre prossimo partirà il processo a suo carico nel quale dovrà, per l'appunto, rispondere del reato di abuso d'ufficio davanti alla decima sezione del tribunale penale di Roma. Appena lo scandalo finì sui giornali, queste furono le parole che Brigandì utilizzò per difendersi: "Ovviamente non sono stato io e se qualcuno sostiene questa cosa ne risponderà nelle sedi legali possibili. Ho chiesto al Csm una serie di documenti, compreso quel fascicolo, che ho letto per un quarto d’ora e poi ho restituito".