Fabiano Antoniani (conosciuto come dj Fabo) avrà il suo momento di preghiera. Venerdì 10 alle 19 nella parrocchia di Sant'Ildefonso in piazzale Damiano Chiesa 7 a Milano don Antonio Suighi celebrerà un cerimonia per ricordare il giovane dj milanese e stare vicini alla famiglia. Le polemiche (troppo spesso urlate, irrispettose e strumentali) rispetto alla scelta di Fabo di morire in Svizzera dopo i suoi inutili appelli al Presidente della Repubblica si dissolvono di fronte alla pietà cristiana, al rispetto per il dolore e al desiderio di un rappresentante della Chiesa di essere vicini alla famiglia. Senza giudizi, senza sovrastrutture. Cordialmente, ovvero con il cuore.
La notizia (al di là dei tecnicismi) è una buona novella per cattolici e non: esiste una carità (che ha lo stesso sapore sia da laica che da cristiana) che si esprime nella volontà di essere vicini a tutti. La madre di Fabo (molto vicina a don Antonio) aveva chiesto un momento di raccoglimento che non fosse un "funerale" per rispettare le volontà del figlio ma che, allo stesso tempo, potesse riportare Fabo lì sul campetto di quell'oratorio dove era cresciuto; don Antonio ha sentito il dovere di esaudire il desiderio della madre e si è mosso per contattare la Curia.
«Abbiamo acconsentito al desiderio della mamma – ha detto il portavoce dell'arcivescovo Angelo Scola – di aver in chiesa una occasione di preghiera per partecipare al momento di prova di questa famiglia, come spesso succede per i nostri fedeli». E non è difficile immaginare la gioia di chi, come Mina Welby, ha dovuto subire per mesi oltre allo strazio di un famigliare che ha scelto di liberarsi dalle sofferenze della vita anche il chiacchericcio peloso e pieno di bile di un esercito di benpensanti che vorrebbe detenere i diritti di un fantomatico tribunale dell'etica popolare.
C'è un angolo nel mondo in cui il dolore e la solidarietà non diventano proiettili per zuffe: che sia una chiesa, una clinica italiana o all'estero oppure la camera attrezzata di un appartamento è una buona notizia. Perché anche se non sembra di questi tempi ci vuole coraggio a essere misurati, scevri dai pregiudizi e le paure, realmente interessati agli altri senza cadere nei fortini del proprio egoismo. Ci vuole coraggio, a essere buoni. Il grazie di oggi va a lui, don Antonio Suighi.